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Trapianto di pene: già tre casi al mondo, il quarto potrebbe essere in Italia

Pubblicata il 27 apr 2018

Trapianto di pene: già tre casi al mondo, il quarto potrebbe essere in Italia

Tra le cause di amputazione tumori del pene, traumi pelvici e circoncisioni e ipospadia nei bambini, ma molti interventi secondari da adulti i primi temi affrontati

Nel mondo sono già stati eseguiti con successo tre trapianti di pene. Il quarto trapianto potrebbe essere eseguito in Italia? Questa l’ipotesi che verrà posta durante la tavola rotonda del Congresso Frontiers in Genito-Urinary Reconstruction in corso a Roma al Policlinico di Tor Vergata dove i massimi esperti mondiali si confronteranno su questo delicato tema. Intervento ancora raro ma con una lista di candidati vastissima: sono infatti migliaia gli uomini che vivono senza il pene, si legge in un comunicato. Le cause di amputazione infatti sono svariate: dai traumi pelvici (sul lavoro, automobilistici ecc.) alle infezioni, spesso conseguenza di circoncisioni finite male specialmente nei paesi africani, sino al tumore del pene che nei casi più gravi vede l’amputazione dell’organo come opzione standard per salvare la vita del paziente e diminuire il rischio di recidive.

Una richiesta destinata ad aumentare

«Quella del trapianto – spiega il Professor Salvatore Sansalone, Co-Presidente e Direttore Scientifico del Congresso e Direttore del Centro di Chirurgia Genito-Urinaria della Clinica Sanatrix di Roma – è una richiesta destinata ad aumentare sia per i pazienti con patologie congenite o pazienti post trauma e sia nei pazienti con tumore del pene che sebbene sia raro (rappresenta meno dell’1% di tutti i tumori) vede una crescita dei casi a causa della diffusione delle malattie a trasmissione sessuale: i condilomi per esempio aumentano il rischio da 3 a 5 volte e l’infezione da HPV è responsabile del 30-40% dei casi».

Tre anni per sviluppare il protocollo

Nei primi tre casi di trapianto del pene trattati nel mondo ci sono voluti più di 3 anni per sviluppare il protocollo, studiare l’intervento, superare le problematiche di tipo etico. La procedura è nota come VCA o Allotrapianto Composito Vascolare, composito perché al contrario di ciò che avviene con organi interni dove i collegamenti del tessuto prevedono pochi punti di ancoraggio, un VCA prevede la connessione multipla di tessuti, muscoli, nervi, vasi sanguigni e pelle che deve funzionare sia per urinare che per l’attività sessuale e perché no, la procreazione, il che rende conto di una equipe composta da urologi, vascolari e chirurghi plastici.

Un intervento assai complesso

Quello del trapianto è un intervento estremamente complesso, spiega il Professor Sansalone: «oltre a una numerosa equipe di vari specialisti che deve funzionare come una orchestra di altissimo livello è un intervento che dura molte ore. Altra difficoltà è quella di trovare un organo non solo compatibile ma che la famiglia del donatore sia disposta a cedere. Basti pensare che in un caso la famiglia ha accettato l’espianto solo con la promessa che al defunto sarebbe stata realizzata una protesi per la sepoltura. Ma è al termine dell’intervento che inizia l’avventura, un periodo post operatorio in cui è possibile che l’organo non attecchisca correttamente, venga rigettato dall’organismo del ricevente o non sia funzionante in maniera corretta».

Gli aspetti psicologici

«La complessità dell’intervento non è squisitamente chirurgica ma attiene anche a una serie di aspetti psico-sessuologici da affrontare con un accurato counseling pre intervento per accettazione di un organo esterno: l’uomo australiano che nel 1998 ricevette il primo trapianto di mano ne chiese la rimozione tre anni dopo, e così per il paziente cinese, il primo trapianto di pene al mondo nel 2006  ha chiesto che gli venisse asportato il pene trapiantato dopo soli 30 giorni dall’intervento» conclude Sansalone.

Nuove tecniche

Curtis Cetrulo, uno dei massimi esperti nel mondo e autore del terzo trapianto, il primo negli Stati Uniti eseguito su Tom Manning (paziente oncologico) sta lavorando a nuove tecniche che potrebbero ridurre la quantità di farmaci antirigetto che assunti per lunghi periodi presentano il rischio di sviluppare gravi problemi renali e tumori. Le incognite da un intervento del genere sono infatti numerose: rischio di fallimento dell’intervento, rigetto dell’organo, infezioni, usura del pene e necessità di un secondo trapianto dopo alcuni anni, oltre a una terapia immunosoppressiva a vita con rischi per la salute dei reni e tumori. «Negli Stati Uniti – sottolinea Cetrulo – ai candidati al trapianto oltre i malati oncologici si aggiungono i veterani di guerra: secondo il Trauma Registry del Dipartimento della Difesa americano sono 1367 i soldati che hanno riportato ferite ai genitali nei teatri di guerra tra il 2001 e il 2013. Dei 1.367 soldati con ferite e traumi pelvici, 433, pari al 31,7% avevano subito una o più amputazioni. La maggior parte delle lesioni da esplosione erano per i genitali esterni: scroto (55,6%), testicoli (33,0%), pene (31,0%) e uretra (9,1%) rispetto al 21% dei reni».

Il tumore del pene

In Europa il carcinoma del pene è un tumore raro, rappresentando meno dell'1% di tutti i tumori. Il rischio di sviluppare un tumore del pene varia moltissimo da Paese a Paese, con un tasso di incidenza media è inferiore a un caso/anno per 100mila uomini. In Europa il picco d'incidenza si registra tra gli uomini con età superiore ai 75 anni, con 5-10 nuovi casi ogni 100mila persone.
L’amputazione del pene è un intervento chirurgico demolitivo il cui scopo è di asportare l’organo, totalmente o parzialmente, quando esso sia sede di un tumore maligno.
La linfoadenectomia inguinale è un intervento chirurgico demolitivo che serve a rimuovere tutti i linfonodi inguinali, sia superficiali sia profondi, su entrambi i lati. La linfoadenectomia iliaca consente la rimozione dei linfonodi situati in prossimità dei vasi del piccolo bacino bilateralmente.
La linfoadenectomia è un completamento dell’amputazione del pene, necessaria in casi selezionati, e può essere eseguito sia nella stessa seduta chirurgica, sia in una seduta successiva.

Storia del trapianto di pene: tre casi al mondo

E’ forse l'intervento chirurgico più complesso al mondo tanto che ne sono stati eseguiti – a oggi – solo tre, l'ultimo negli Stati Uniti nel 2016. Per Tom Manning tutto era iniziato nel 2012 quando il corriere della banca stava scaricando delle pesanti scatole su una rampa fangosa in una fredda mattina di gennaio. Il carrello era scivolato e lo aveva travolto colpendolo sull'addome all'altezza dell'intestino. Un impatto che a Tom era sembrato una esplosione di dolore nel cervello. Arrancò fino al bagno e si accorse che a livello dell'inguine pulsava violentemente e il pene era gonfio del doppio rispetto al normale. Sentiva che c'era qualcosa di sbagliato. Non era solito lamentarsi e temeva di perdere il lavoro quindi minimizzò l'accaduto. Per due mesi il corriere disinfettò la ferita con acqua ossigenata e aspirina per calmare il dolore. Il pene era rimasto schiacciato, il colore aveva cambiato posto e i testicoli erano polverizzati, zoppicava e non riusciva a dormire più di qualche ora per notte. Otto settimane dopo si decise a rivolgersi al Massachusetts General Hospital.

I medici dissero che era necessario un intervento chirurgico per riposizionare il colon e ricostruire parte dei genitali ma serviva ancora un consulto, quello dell'urologo, il dottor Adam Feldman. Quando arrivò al letto di Tom il suo volto non aveva un’espressione che ispirava l'ottimismo. Comunicò all'uomo che sospettava che avesse un cancro al pene, tumore raro ma molto aggressivo che colpiva circa duemila uomini degli Usa. Le cellule avevano già invaso i tessuti e quando fossero arrivate ai linfonodi avrebbe avuto una prospettiva di pochi mesi di vita. La radio non poteva fare nulla quindi l'unica opzione percorribile era l'amputazione. Nonostante lo shock, le domande sul futuro con una simile menomazione Tom decise che di morire non ne aveva proprio voglia. Il dottor Feldman fu costretto a rimuovere tutto l'organo, lasciandone solo un paio di cm a cui venne attaccato un catetere per urinare. Nel 2012 rimuovere chirurgicamente un pene da cadavere e impiantarlo su un paziente non era mai stato fatto negli Usa. Esistevano solo due precedenti: quello su un uomo cinese che chiese che gli fosse rimosso perché non riusciva ad accettarlo psicologicamente e quello di un ragazzo sudafricano di 21 anni che aveva perso il suo pene 3 anni prima a seguito delle complicanze di una circoncisione che aveva provocato la cancrena e quindi la necessità di amputarlo.

Manning pensò che se era possibile trapiantare un volto forse era possibile anche con un pene. Non sapeva che più o meno nello stesso periodo il chirurgo plastico Curtis L. Cetrulo ad una conferenza discusse con un collega urologo dell'epidemia di lesioni da esplosione nei veterani di ritorno dall'Iraq e dall'Afghanistan. Se le protezioni in kevlar e la chirurgia dei traumi sul campo permettevano di sopravvivere, si contavano però traumi facciali e ai genitali a causa di ordigni improvvisi. Cetrulo e Dikentro ne parlavano da mesi, perché i pazienti con queste lesioni erano particolarmente inclini al suicidio. Il semplice ripristino della funzione urinaria non era sufficiente. Autostima e qualità di vita cadevano in picchiata. Nel frattempo, nel 2015 un team della Johns Hopkins annunciò di avere in programma il trapianto di pene di uno dei 14 veterani militari. Mentre al Mass general ricevevano un finanziamento per due trapianti: Alan Feldman parlò di Tom Manning Che nel frattempo studiava su testi di medicina l'anatomia del pene. Era convinto che si potesse fare qualcosa. Aveva ragione. Quando nel febbraio del 2016 sullo schermo del suo cellulare apparve il numero di Feldman Ebbe il timore che il cancro fosse tornato: «sei ancora interessato a quel trapianto?» Lui rispose solo: «facciamolo». Ora bisognava attendere un organo che soddisfacesse un certo numero di requisiti: gruppo sanguigno, caratteristiche e tono della pelle, screening delle malattie trasmissibili, ma soprattutto superare le resistenze e le perplessità delle famiglie dei donatori. Dopo 15 ore di intervento Manning aveva un pene nuovo.

Ma bisognava verificare che funzionasse: tre settimane dopo gli fu rimosso il catetere e riuscì a urinare correttamente. Per ciò che riguarda la complessa funzionalità sessuale era necessario che il sangue si riversa sì nel pene. Ma per mantenere l'erezione sono necessarie una complessa interazione tra muscoli e tessuti che mantengono il sangue nei corpi cavernosi. Sembra che ancora non abbia avuto rapporti con una donna. 2015 - in Sudafrica circa 250 persone all’anno rimangono mutilate a causa di circoncisione rituale finita male. Il paziente è un ragazzo di 21 anni che a tre mesi nel complesso intervento ha riguadagnato la completa funzionalità dell'organo sia urologica che sessuale, che di recente è divenuto padre, per recuperare la difficoltà maggiore è stata trovare un donatore. Mentre meno fortuna ha avuto il primo paziente al mondo, un cinese che aveva ricevuto il trapianto nel 2006 ma dopo alcune settime richiese la rimozione per un «rifiuto psicologico».

Il ricevente, un uomo di 44 anni il cui membri era stato danneggiato in maniera irreparabile in un incidente. Un trauma che lo ha lasciato con un moncone di 1 cm con il quale non poteva nemmeno urinare. Non è stata però una storia a lieto fine perché nonostante l'operazione fosse stata coronata da successo 10 giorni dopo l'uomo e la moglie non ho chiesto negozio a causa di una resistenza psicologica. Il precedente: nel 2001 i chirurghi furono costretti ad amputare la prima mano trapiantata a Clint Hallam un uomo di cinquant'anni per una incapacità del paziente di accettare di guardare la mano di un defunto.

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