Quando vorresti chiamare un amico/a, ma...

@fail64 pragmaticamente tu dici: ok, la malattia ci impedisce determinate azioni "pro-socializzazione" in età avanzata, ma con il tempo e la "maturazione" le amicizie non sono poi così importanti!

mmm mi perplimo! ;) Concordo sul fatto che la/e malattia/e impediscano "normali" rapporti di "fraternizzazione", ma, se pensiamo al proprio compagno/a, alla propria moglie o marito... la necessità non è la medesima?

Lo so, sono riduttiva (forse, ma non credo!) ma... la necessità atavica di unirci non è forse quella di superare meglio le avversità?

I canidi, prima selvatici, si fecero "addomesticare" in quanto ne trovarono un beneficio nel procacciare il cibo e l'uomo nell'avere protezione. Gli uomini si riunirono in villaggi per unire le forze e le menti organizzandosi e specializzandosi per un bene egoisticamente comune. 2 persone si uniscono per amore... ovvero poiché trovano, oltre ad un appagamento meramente fisico, affinità nel poter sopraffare le difficoltà dell'esistere.

Ora, e qui cito Thomas Merton, io credo fermamente che "nessun uomo (in senso generale) è un isola". E' normale vivere nel bisogno di "appartenere" che sia ad un gruppo di amici, ad un gruppo religioso o ad una setta. E' un bisogno che l'uomo in quanto tale ha!

Prendiamola cosi': la solitudine va interpretata come un'esperienza di

vita ma anche una scelta di vita ,comunque e'sicuramente una costri-

zione se dura oltre un certo limite o quando capita di rimanere soli a 

causa delle circostanze. Io solo del tutto non sono mai stato .