Morto Umberto Veronesi, grazie a lui i tumori fanno meno paura
Pubblicata il 14 nov 2016
Rivoluzionò cure e interventi al seno: così seppe restituire dignità e integrità alle persone malate. Le pazienti: diceva che a differenza degli uomini sono capaci di amore oltre ogni ragionevolezza.
Se oggi la parola tumore non fa più rima con disperazione ma con speranza lo si deve in gran parte anche a Umberto Veronesi. L’oncologo milanese diceva talvolta che in fondo aveva fallito perché sarebbe morto senza aver vinto il cancro, ma ammetteva di aver vinto almeno una battaglia: quella di cambiare la strategia contro i tumori.
La battaglia è quella che aveva iniziato nel 1973 all’Istituto dei Tumori di Milano, per dimostrare che quelli al seno, quando ancora di dimensioni limitate, possono essere asportati con la quadrantectomia , una tecnica chirurgica che non comporta la rimozione totale della mammella. Prima invece la regola era, per tutti i tipi di cancro, «massima asportazione possibile» e «massima dose tollerabile di radioterapia e di farmaci». Dal momento in cui Veronesi riuscì a dimostrare che aveva ragione (non senza fatica e duri scontri con l’establishment oncologico del tempo) l’approccio si capovolse e diventò, non soltanto per il tumore al seno, «minima asportazione possibile» e «minima dose efficace», per evitare che il paziente, anche quando sopravvissuto, dovesse patire sofferenze o menomazioni a causa delle cure.
Dignità malati
L’attenzione alla dignità e all’integrità dei malati, del resto, ha informato tutto il percorso professionale e umano di Umberto Veronesi, focalizzato in gran parte sui tumori del genere femminile, che riteneva superiore a quello maschile perché «Le donne sono capaci di “amore insensato”, oltre ogni ragionevolezza, cosa che gli uomini raramente sanno fare». In realtà quella della quadrantectomia non è certo la sola sfida scientifica vinta da Veronesi. Il suo impegno senza requie l’ha visto in prima fila in molte altre innovazioni decisive, come, solo per fare due esempi, quella del linfonodo sentinella e quella della radioterapia intraoperatoria .
La prima permette di capire subito, durante l’intervento chirurgico, se sarà necessario o meno asportare linfonodi che fanno capo all’organo colpito dal tumore, e la seconda consente di irradiare la zona subito dopo l’operazione per bruciare eventuali cellule tumorali residue, risparmiando al massimo i tessuti sani.
La fondazione dello Ieo
Tecniche in buona parte sviluppate nell’ospedale che Veronesi fondò nel 1991 alle porte di Milano e inaugurò nel 1994: lo Ieo (Istituto Europeo di Oncologia). Un nome scelto perché «Io sono ed ero un europeista convinto» ci spiegò in occasione del ventennale dell’Istituto, «così iniziai a sognare di creare in Italia un centro di respiro europeo capace di catalizzare ciò che si stava sperimentando in ricerca clinica e di laboratorio nei diversi Paesi. Ero convinto che in Italia, a Milano, si potessero concentrare le potenzialità del pensiero scientifico e l’esperienza terapeutica sparse per il vecchio continente, coordinando in un’unica sede lo scambio di informazioni, il sapere e il saper fare. Prospettai un ente di diritto privato ma con finalità pubbliche per poter godere della flessibilità gestionale, ma con il carattere etico e gli obiettivi di un ente pubblico. Un ospedale che non dia lucro e non distribuisca dividendi , ma reinvesta l’eventuale utile in tecnologie e formazione dei medici, un centro dove si faccia ricerca in laboratorio e in clinica. Un ospedale progettato per ruotare intorno al paziente e non intorno ai medici».
Fondazione Veronesi
Un altro impegno dell’oncologo, cui si deve aggiungere quello, strenuo, per la diffusione della prevenzione dei tumori e per il sostegno alla ricerca che l’ha visto, fra l’altro, fra i creatori dell’Airc (Associazione italiana ricerca sul cancro) e poi della Fondazione Veronesi, che è diventata, oltre che un finanziatore di ricercatori attraverso numerose borse di studio, anche un centro di promozione culturale a più largo spettro, con iniziative come The Future of Science o Science for Peace . Era facile, infatti, sentirgli dire che «gli scienziati devono uscire dai laboratori e occuparsi dei grandi temi del mondo». Lui l’ha fatto, tanto che molta della sua aura è legata all’impegno sociale e politico, connotato anche da posizioni coraggiose, spesso controcorrente.
La legge Sirchia
Non a caso del suo periodo come ministro della Sanità, dal 2000 al 2001, vengono forse più facilmente ricordate le sue dichiarazioni di apertura sulla possibile legalizzazione delle droghe leggere, piuttosto che per il suo strenuo impegno, per esempio, contro il fumo, che gettò le basi per la successiva Legge Sirchia, una delle più avanzate al mondo sul tema. Altrettanto tenace il suo coinvolgimento a favore di una legge che riconoscesse il valore legale del testamento biologico, in cui dichiarare le proprie volontà sul fine-vita. A proposito del quale aveva detto qualche tempo fa: «La morte si avvicina certo, ma è un dovere biologico e antropologico, se non ci fosse non ci sarebbero le nuove generazioni. Con la morte ho un buon rapporto. L’immortalità su questa Terra sarebbe una catastrofe». Ma il professor Veronesi credeva in una forma di immortalità laica: «Quella rappresentata dalle idee, quanto maggiore è il contributo di innovazione che portiamo alle idee tanto più il nostro pensiero sopravviverà». Il suo non è riassunto solo nei 12 trattati, nelle sue 800 pubblicazioni e nelle sue 14 lauree Honoris causa.
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