Screening mammografico: si può fare di meglio
Pubblicata il 9 ott 2018
25 anni dopo il primo « Ottobre Rosa », il mese di sensibilizzazione al tumore del seno, lo screening organizzato soffre di una disaffezione crescente, mettendo alla prova la comunità medicale, che lavora ormai su uno screening personalizzato in funzione del rischio.
Il tumore del seno rimane il tumore più comune e più micidiale per le donne: 59 000 nuovi casi ogni anno e quasi 12 200 decessi in Italia. Il tasso di sopravvivenza è di 99% a 5 anni quando il tumore è diagnosticato nella fase iniziale contro 26% quando scoperto in fase avanzata, ciò che sostiene la necessità dello screening. Però, la partecipazione delle donne allo screening organizzato diminuisce negli ultimi anni, scendendo al di sotto del 50% nel 2017.
Paura del controllo? Negligenza?
Eppure la partecipazione aveva progredito energicamente in un primo tempo, passando dal 30% nel 2000 al 45% nel 2004, e poi 53% negli anni 2010-2012 prima di sgretolare.
Brigitte Séradour, radiologa e esperta dello screening presso la SFSPM, assegna la disaffezione alla « mancanza di fiducia nelle politiche di prevenzione, sia per il tumore del seno, sia per la vaccinazione o lo striscio vaginale del collo dell’utero ».
Osserva che le persone contro lo screening sono molto visibili sui social network, sempre pronte a trasmettere informazioni negative, e le autorità pubbliche non sono sufficientemente incisivi per controbilanciare il loro impatto ».
I dubbi formulati hanno cominciato a farsi strada nell’opinione: lo screening moltiplica le radiografie (una mammografia ogni due anni tra i 50 e i 74 anni), e quindi i raggi X, porta al trattamento di ogni lesione, anche se numerose lesioni non evolverebbero (diagnosi precipitosa) e manca i tumori « dell’intervallo » (tra due mammografie).
« Sottoponete ad una popolazione sana uno screening che non rispetta i criteri di beneficio/rischio », sottolinea Cecile Bour dell’associazione Cancro rosa, che milita per una « scelta informata » della donna con migliori informazioni
Personalizzare lo screening
Per Nasrine Callet, ginecologa presso l’Istituto Curie a Parigi, « certo, lo screening presenta veri svantaggi, ma non abbiamo trovato qualcosa di meglio ». « Non abbiamo nessuno marcatore biologico o esame che può dirci se questo piccolo tumore scoperto evolverà o no ».
Nessuno esperto dice di sospendere lo screening, la ricerca si mobilita per perfezionare il livello di rischio delle donne con lo scopo di « individualizzarlo »: un’ampio studio (MyPeBS) sarà lanciato il 1 dicembre in 5 paesi tra cui l’Italia. In funzione del livello di rischio, lo studio proporrà alle donne una mammografia ogni quattro anni, un controllo identico allo screening abituale o un monitoraggio più attento (« mammografia » ogni anno o MRI).
« Lo screening organizzato era una buona cosa nel 2000 ma con l’arrivo degli anni 2020, possiamo sperare una medicina molto più personalizzata e adattata a ciascuna »
Raccomanda anche un’informazione sul tumore del seno « senza tabù » e « presto a scuola, liceo, college ». « Con la nostra educazione, le donne non fanno la palpazione dei seni », lei osserva. « Nei paesi nordici, le donne si palpano i seni e scoprono più presto le anomalie ». In materia di prevenzione, « il messaggio corretto da trasmettere è di avere un’attività fisica, nessun sovrappeso e non bere alcol » sottolinea il professore Roman Rouzier, direttore medicale presso l’Istituto Curie.
AFP