Siesta post pranzo: bene se non supera i dieci minuti
Pubblicata il 22 mar 2016
L’intervento del professore di psicologia clinica Terman: Da Einstein a Edison, i grandi estimatori del sonnellino
Cosa accomuna Napoleone Bonaparte, Thomas Edison, Winston Churchill e Albert Einstein? Tutti avevano bisogno di fare un pisolino durante la giornata per ricaricarsi. È ai meccanismi che determinano l’insorgere della “siesta” diurna, così come ai pro e contro di questa diffusa pratica, che Michael Terman, professore di psicologia clinica in psichiatria della Columbia University, ha dedicato un intervento sul sito del Center for Environmental Therapeutics (www.cet.org). Il motivo per cui il nostro organismo può richiedere una “tregua” durante la giornata ha a che fare, spiega, con «il rapporto tra la “pressione del sonno” e i ritmi circadiani». Questa “spinta” in direzione del sonno da parte del nostro organismo, in sostanza, comincia a premere, a farsi sentire, fin da quando ci svegliamo.
Dunque in una persona che si sveglia il mattino presto, o a metà mattinata, questa “pressione” raggiungerà un livello piuttosto alto nel primo pomeriggio, ovvero nel bel mezzo del periodo di veglia. Nel frattempo, continua Terman, abbiamo bruciato la scorta mattutina di cortisolo (un ormone prodotto dalle ghiandole surrenali e che contrasta gli effetti dell’insulina) e la temperatura corporea ha cominciato a salire (un altro segnale di affaticamento e stanchezza) per raggiungere il picco nella seconda metà della giornata. È in questa fase del giorno che «la spinta a dormire diventa abbastanza forte da predominare su quella a rimanere svegli, e il sonnellino diventa perciò una soluzione possibile». Naturalmente il cibo è un elemento che può favorire il bisogno di siesta. Il colpevole, dopo un pranzo pesante, è l’innalzamento della glicemia a cui seguirà l’intervento dell’insulina che ne abbasserà il livello drasticamente, al di sotto del livello normale, provocando stanchezza sia fisica sia mentale.
Ma cedere al sonnellino fa bene? Indubbiamente, come gli illustri frequentatori della siesta postprandiale dimostrano, dopo un breve pisolino si è più lucidi ed efficienti, e anche la capacità di assimilare nuovi concetti o nuove pratiche risulta potenziata dopo una siesta. Secondo alcune ricerche inoltre, ricorda Terman, il riposino quotidiano riduce il rischio di attacchi di cuore, infarto, diabete e obesità. Ma ci sono anche delle controindicazioni, e anche il sonnellino va maneggiato con cura. Meglio non superare la fascia oraria del primo pomeriggio, ovvero a metà strada tra il risveglio e il momento di coricarsi. Spostare la siesta troppo avanti nella giornata, al contrario, può “allentare” troppo la pressione del sonno e riservarci poi una notte il bianco.
Anche la durata del riposino, afferma ancora Terman, ha la sua importanza. Dieci minuti sono il tempo ideale. Può sembrare troppo poco, ma non è così: «È un tempo sufficiente per alleviare la fatica, mentre sieste di venti minuti-mezz’ora non portano granché beneficio, anzi potrebbero provocare ottundimento e sonnolenza. Effetti destinati ad aggravarsi quanto più aumenta la durata della “dormitina” post prandiale.
E sappiamo quanto possa essere dannoso alterare i ritmi del sonno: le conseguenze vanno dall’insonnia all’eccesso di sonno ma possono sfociare anche nella depressione. Tipici, in questo senso, sono i disturbi stagionali conosciuti come winter e summer blues.