Tumore al seno, il test per decidere a chi serve la chemioterapia
Pubblicata il 19 giu 2018
Utile per le pazienti a rischio intermedio di recidiva, potrebbe far risparmiare la chemioterapia a circa 5mila italiane ogni anno.
La chemioterapia fa paura a tutte le donne che devono affrontare un tumore al seno: perdere i capelli è lo spauracchio più grande, ma gli effetti collaterali sono tanti e pesanti. Ecco perché i risultati dello studio TAILORx, presentato all’ultimo congresso dell’American Society of Clinical Oncology, sono una buona, buonissima notizia: stando ai risultati, grazie a un test che valuta l’espressione di 21 geni-chiave per il tumore sarà possibile individuare meglio le pazienti nelle quali la chemioterapia è davvero utilee soprattutto evitarla in quelle per cui non è un reale vantaggio.
L’indagine è stata condotta su oltre 10mila donne con tumore al seno nei primi stadi, con linfonodi negativi, positive per il recettore ormonale e negative per HER2, che si erano sottoposte al test Oncotype DXper valutare la probabilità di ricaduta sulla base dell’espressione dei 21 geni risultando a rischio intermedio: in genere finora la maggioranza riceveva la chemioterapia, i dati raccolti svelano che nelle over 50 questa può essere evitata, mentre nelle donne più giovani può risparmiarla il 36 per cento delle pazienti.
In totale, stando agli autori, circa il 70 per cento delle donne che sono a rischio intermedio nel test potrà fare a meno della chemio senza per questo avere nel lungo periodo peggiori risultati in termini di sopravvivenza.
Francesco Cognetti, direttore del Dipartimento Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, ha sperimentato fino a dicembre scorso il test Oncotype DX assieme a pochi altri centri oncologici italiani e conferma che questo approccio potrebbe risparmiare la chemioterapia a un buon numero di donne. «Circa 4-5mila ogni anno in tutta Italia– riassume l’esperto –. Nel nostro studio, condotto su oltre 1700 pazienti operate per tumore al seno, abbiamo osservato che circa un terzo può evitare la chemioterapia senza ripercussioni sull’efficacia delle cure. Attenzione però, stiamo parlando di una specifica popolazione di donne. Delle circa 50mila donne che ogni anno ricevono la diagnosi, infatti, il 10 per cento ha già metastasi a distanza e il 10-15 per cento delle altre è obbligata alla chemioterapia perché positiva a HER2; un altro 50-60 per cento non fa la chemio ma soltanto l’ormonoterapia, già con le indicazioni attuali. Questi risultati riguardano perciò le 12-15mila pazienti rimanenti, con un rischio intermedio di recidive e specifiche caratteristiche».
Sono appunto donne con un tumore di stadio iniziale e linfonodi negativi, positive per il recettore ormonale e negative per HER2; in queste, sottoporsi al test per la valutazione dei 21 geni potrebbe da ora in poi indicare con certezza la strada da seguire. «I dati ci mostrano che la sopravvivenza è la stessa anche evitando la chemio, nelle donne over 50 con un punteggio intermedio al test; in alcune delle più giovani, invece, c’è ancora un vantaggio di sopravvivenza – spiega Cognetti –. L’obiettivo, adesso, è rendere disponibile il test: a oggi costa circa 3500 euro e non è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale, alcune Regioni sono in trattativa per ridurre di almeno un terzo la spesa ma di fatto adesso non viene utilizzato. Se sarà registrato potrà essere negoziato: la speranza è che possa essere eseguito su tutte le candidate idonee, perché anche se è costoso può far risparmiare non soltanto gli effetti collaterali della chemioterapia alle pazienti, ma anche la spesa per i farmaci, per la gestione delle complicanze, per la perdita di giorni di lavoro. Alla lunga individuare le pazienti giuste da sottoporre alla chemioterapia sarebbe comunque un risparmio di risorse».
Io Donna