Ritrovare la serenità: il percorso per accettare la morte del suo “io di una volta” ed accettare la fibromialgia
Pubblicata il 7 mag 2019 • Da Louise Bollecker
Giovane donna di 30 anni, Emilie, membro di Carenity, è affetta dalla fibromialgia dal 2016 ma diagnosticata nell’aprile 2018. Seguita dal gennaio 2019 in un centro del dolore francese, ha accettato di parlarci del suo compito per accettare la malattia e combatterla al meglio.
Buongiorno Emilie, grazie di aver accettato di rispondere alle nostre domande. Quanto tempo hai aspettato una diagnosi?
Ho aspettato 1 anno e mezzo prima di avere la mia diagnosi, dopo primi dolori nel maggio 2019. Non sono stata vittima di una falsa diagnosi. La reumatologa che avevo vista prima di consultare il medico internista che mi ha fatto la diagnosi della fibromialgia, mi aveva detto che potesse essere sia una malattia di Ehlers Danlos, una fibromialgia o una depressione.
Avevi già sentito parlare di questa malattia prima?
No, mai, almeno non prima delle mie prime ricerche su questo argomento. Ho fatto queste ricerche perché i miei esami del sangue non mostravano niente e neanche la MRI della testa che ho dovuto fare nella fine del luglio 2016 nel quadro di un sospetto di sclerosi multipla.
Cosa hai sentito nel momento della diagnosi? Sollevata di avere trovato la causa dei tuoi dolori o spaventata da questa malattia?
Alla diagnosi mi sono sentita sollevata. Sollevata di poter dirmi che non fossi pazza, che i miei sintomi fossero ben dovuti ad una vera malattia.
Chi ha fatto la diagnosi? Come l’operatore sanitario ti ha annunciato la notizia?
È un medico internista ad avere infine fatto la diagnosi. L’ha fatto normalmente, senza sotterfugi. M’ha detto: “Non cerca più lungo, Lei ha una fibromialgia”. M’ha dato una piccola cartella che spiegava cosa fosse la fibromialgia.
Come hanno reagito i tuoi cari? Hai il sentimento di essere abbastanza sostenuta?
I miei genitori mi sostenevano di fronte ai dolori ma non riuscirono ad ammettere che io fossi realmente malata, fino a quando mia madre venisse con me al centro antidolore dell’ospedale Cochin a Parigi e che lo specialista spiegasse chiaramente che la fibromialgia fosse una vera malattia.
Cosa è il più difficile nel fatto di sapere che si è affetta da fibromialgia?
Per me, il più difficile è di sapere che non esistono trattamenti che curano o permettono di essere sollevata durante un lungo periodo. Mi lamento che la ricerca non sia ancora abbastanza sviluppata nel XXI secolo. Questo permetterebbe ad ogni malato ed altre persone dell’esterno di poter conoscere veramente le origini della fibromialgia e di avere uno o diversi trattamenti efficaci per alleviarci meglio come per la spondilite ad esempio, ed anche guarirci.
Il più duro, è anche di leggere o ascoltare false testimonianze sulla fibromialgia, delle persone che si permettono di dare false definizioni della fibromialgia. Questa gente non ci aiuta ad essere più credibili di fronte alle autorità, medici, parenti o altre categorie di persone esterne. È anche difficile di sembrare per le altre persone a qualcuno che non ha nessun patologia perché la nostra malattia non si vede tranne ad esempio quando devo camminare con il mio bastone o quando mi metto a zoppicare.
Quali sono i tuoi metodi per accettare questa malattia?
Quello che mi permette di accettare la malattia, è soprattutto la mia terapia TCC con la mia psicologa. La psicologa mi ha proposto un agenda di attività in relazione con i miei dolori che devo compilare ogni giorno. Devo scrivere le mie attività del giorno con il livello del mio dolore su 10 e notare quello che sento su livello emozionale e dolori durante le attività, per poter fare una media alla fine e vedere se riesco a gestire meglio i miei dolori nel tempo. Mi ha anche consigliato di leggere libri sullo sviluppo personale.
Mi ha aiutato a fissare degli obiettivi nella mia vita quotidiana e soprattutto ad accettare la fibromialgia in tutto il mio quotidiano. Ora, non considero più la mia malattia come una nemica grazie ai suoi consigli e al mio lavoro personale per riuscire. Adesso, la coinvolgo in tutto quello che faccio. Quando a riesco a fare una cosa, che la fibromialgia mi permette di fare, la ringrazio per i suoi sforzi e quando mi dice stop, la ascolto e non vado più contro quello che non può più gestire. È soltanto quando si accetta questa coabitazione con la nostra malattia che possiamo stare meglio moralmente e fisicamente.
Quale interesse vedi nell’accettazione rispetto al rifiuto? Hai visto cambiamenti del tuo stato in seguito al compito su te stessa?
L’accettazione di una malattia è il punto di partenza per andare avanti. L’accettazione è sempre meglio del rifiuto. Il rifiuto uccide un po’. La perdita del nostro “noi” di prima di fronte alla malattia provoca di solito un sentimento di tristezza e lutto, ciò che è una reazione umana perfettamente normale. Una fase di rivolta e di incomprensione avviene spesso dopo l’annuncio della diagnosi. Questa reazione è del tutto normale, l’impatto psicologico dell’annuncio il quale costituisce un atto fondamentale, richiede per il malato di fare un “lavoro di lutto” dello stato anteriore, prima di poter accettarsi come sta ora e di adattare il suo progetto di vita o ricostruirlo se necessario.
Ecco le tappe del lutto:
Le tappe del lavoro di lutto sono state descritte dalla psichiatra e psicologa Elizabeth Kübler Ross nel 1976:
Shock iniziale: “ Sul colpo, è stato uno shock!”
Rifiuto: “ Non è vero! ”
Rivolta: “ Perché io? ”
Negoziazione: “ Va bene, non ho scelta, ma… ”
Riflessione: “ Non sarò mai come prima! ”
Accettazione: la malattia è accettata (o “ supportata ”)
Tutte queste tappe non sono obbligate, neanche vissute da tutti i pazienti.
Per quel che mi riguarda, ho fatto tutte le fasi, la rivolta, la negoziazione, la riflessione e poi l’accettazione. Ho effettivamente visto dei cambiamenti nel mio modo di gestire i miei dolori, lamentele e morale. Anche se provo forti dolori, tento di non lasciarmi abbattere… certo, ci sono giorni dove crollo, perché il dolore non è facile da gestire ma provo a fare tutto per avere un massimo di sollievo e per tenere il mio morale sempre positivo.
Come descriveresti il tuo morale in questo momento, un anno dopo la diagnosi?
Il mio morale sta bene in questo momento. Ci sono giorni durante i quali sono triste, arrabbiata o vorrei fare maggiori cose ma globalmente sto molto meglio dall’inizio della diagnosi. Riesco a gestire meglio le mie emozioni attualmente.
Quali trattamenti segui?
Prendo tramadol al massimo 2 volte al giorno ma posso prenderne fino a 3 volte secondo ciò che è scritto sulla ricetta. Prendo tramadol soltanto quando il dolore diventa insopportabile anche se il medico durante l’ultima visita m’ha detto di prenderne prima che il dolore sia troppo forte.
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Parallelamente a questo trattamenti, ho cominciato sessioni di fisioterapia e balneoterapia. Ho fermato la fisioterapia perché non ne vedevo i benefici, e avevo maggiori dolori dopo le sessioni. Cammino anche quando posso (una volta alla settimana) tra 30 min e 1 ora al massimo con pause. Quando non ho il tempo, faccio 30 min di spinning (3 volte 10 min). Faccio balneoterapia 1 volta alla settimana. Ho a disposizione TENS (neurostimolazione elettrica transcutanea) ma per il momento non vedo veramente i benefici di questa piccola macchina. Non funziona per i miei dolori forti e su quelli più piccoli, appena la tolgo, il dolore torna più forte. Ho anche un tappetino massaggiante ed una borsa d’acqua calda.
Se avevi un consiglio da dare ad un paziente che viene di essere diagnosticato?
Non esitare a provare alcuni farmaci chimici e tecniche naturali e soprattutto essere seguito da un buono psicologo e fare una terapia cognitivo-comportamentale. È veramente un aiuto sul piano morale. Dopo il lutto dello stato anteriore, direi a questa persona di avere sempre speranza, di essere positivo il più possibile nel quotidiano. Certo non sarà facile ogni giorno ma almeno provare a esserlo regolarmente.
La parola per finire?
Non state per nessun motivo nell’isolamento, se non avete una famiglia o se i vostri parenti non credono che siete veramente malati, bisogna avvicinarvi ad un’associazione.
Anche se niente guarisce la fibromialgia per il momento, possiamo trovare una o delle cose che ci permettono di avere un po’ di sollievo sul momento o anche 2 ore dopo. Dovete avere sempre speranza, lottate per voi e per le vostre famiglie o per qualcosa che vi sta veramente a cuore!
Non rinunciate alla vita, anche se il quotidiano non è spesso bello da vivere. Provate a fare delle cose che vi procurano un benessere, delle cose che allevieranno i vostri dolori come rilassamento, fate una cura di talassoterapia o semplicemente andate a camminare nella foresta con amici o membri della vostra famiglia. Non state per nessun motivo inattivi perché i dolori peggioreranno nel tempo. Uscite da casa anche per 20 min per respirare aria ed attivare i vostri muscoli.
Coraggio e forza nella nostra lotta quotidiana!
Grazie mille a Emilie di averci dato i suoi consigli per accettare la malattia e ritrovare la serenità. Non esitate a commentare la sua testimonianza per porre le vostre domande e condividere la vostra esperienza!
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