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Pazienti Malattia epatica grassa non alcolica e NASH
"Fegato grasso" pericolo per un italiano su quattro
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EUREKA
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EUREKA
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Ultima attività il 29/06/24 alle 01:22
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Ciao @GiuseppaRiggio , cero di rispondere alla Tua !
Il Fibroscan è un apparecchio molto simile ad un ecografo, che attraverso una sonda, poggiata sulla parete toracica, tra gli spazi intercostali, invia al fegato delle onde elastiche. La velocità di propagazione di queste onde attraverso il tessuto epatico viene elaborata da un calcolatore, che fornisce in tempo reale una stima quantitativa dell’elasticità/rigidità del fegato. L’esame è indolore, dura circa 5-10 minuti.
Come funziona il Fibroscan
Il fibroscan valuta la fibrosi del fegato misurandone la sua durezza che viene espressa in kPa. Il dispositivo misura la rigidità di una sezione cilindrica tessuto epatico di 4 cm di lunghezza e di 1 cm di diametro che si trova ad una profondità di 2.5 cm al di sotto della superficie cutanea. Queste dimensioni sono all’incirca 100 volte maggiori di un campione bioptico standard e dunque più rappresentative dell’intero parenchima, consentendo così di ridurre l’errore di campionamento. Il sistema è tarato in modo da rifiutare automaticamente le stime di elasticità se la propagazione dell’onda elastica non è misurata in modo appropriato. Infatti solo le onde la cui velocità di propagazione è costante sono validate e ciò permette di eliminare gli artefatti dovuti alla presenza di strutture vascolari o di lesioni focali. Il valore medio della liver stiffness nel paziente esente da malattia epatica è di circa 5.3 kPa senza che vi siano differenza di età; mentre in relazione al sesso si evidenzia come le donne abbiano mediamente livelli significativamente più bassi.
In realtà le stime di elasticità variano da 3 a 75 kPa che corrispondono ad una velocità di propagazione che varia da 1 a 5 m/s. Infatti la misura della velocità di propagazione dell’onda elastica attraverso il fegato permette di stimarne la sua elasticità grazie all’equazione: E=3ρV2, dove E rappresenta l’elasticità, ρ la densità che è costante per un determinato tessuto e per il fegato è =1, V la velocità di propagazione dell’onda. Ebbene la velocità di propagazione è tanto maggiore quanto più il fegato è duro. Così per un fegato esente da fibrosi (F0) la velocità è di 1 m/sec e la elasticità è di 3 kPa, mentre per un fegato gravato da fibrosi severa (F4) la velocità potrà essere di 3 m/sec e la elasticità di 27 kPa. Il risultato è immediatamente disponibile. Inoltre il 93% dei pazienti con uno score < 5.1 kPa ha uno stadio di fibrosi F0, mentre il 94% di quelli con uno score > 7.6 ha uno stadio di fibrosi significativo. Nella pratica clinica quando si interpreta il risultato, bisogna tener conto di due parametri: la IQR (variabilità delle misurazioni effettuate) che non deve superare il 30% rispetto alla mediana (in un paziente classificato come cirrotico la cui liver stiffness sia di 15, la IQR dovrà essere < 4.5) ed il “success rate” (numero delle misurazioni utili) che deve essere almeno pari al 60% rispetto al numero totale delle acquisizioni svolte per essere considerato affidabile. Ne consegue che il numero delle misurazioni effettuate dovrà in qualche misura tenere conto di questi parametri.
Il Fibroscan ha delle limitazioni/controindicazioni o può essere eseguito su tutti i pazienti?
Il FibroScan non può essere eseguito in soggetti con ascite (ma in questo caso la diagnosi di cirrosi è già clinica) e nelle donne in gravidanza. E’ di difficile esecuzione in soggetti con importante sovrappeso (obesi) e con spazi intercostali stretti. A tal fine sono state recentemente predisposte delle sonde particolari, per soggetti obesi e per bambini. E’ preferibile eseguire il test dopo un periodo di digiuno di circa 6 ore, in quanto le modificazioni del flusso sanguigno nel fegato, indotte dal pasto possono modificare (almeno in alcuni pazienti) l’elasticità dell’organo.
Quanto è affidabile questo strumento?
Il FibroScan è una metodica di semplice esecuzione, facilmente ripetibile e con minima variabilità legata all’esecutore. I primi studi con la metodica sono stati condotti su soggetti affetti da Epatite C e tutti gli utilizzatori hanno dimostrato una buona correlazione tra i valori di elastometria e la fibrosi determinata con la biopsia epatica. In particolare, è stato osservato come valori di elastometria < 7 KPa possano escludere la presenza di una fibrosi significativa (cioè superiore ad F2 secondo lo score Metavir della biopsia epatica), mentre valori > 13 kPa siano indicativi di una verosimile cirrosi. Valori di Fibroscan compresi tra 7 e 13 kPa, generalmente si associano ad una malattia con fibrosi intermedia, tuttavia in simili condizioni l’accuratezza del test è minore.
Vi sono fattori che possono influenzare l’affidabilità di questo strumento quali il grado di infiammazione epatica (elevazione delle transaminasi) e lo spessore del pannicolo adiposo del paziente analizzato.
Dobbiamo quindi pensare al FibroScan, come alla tessera di un mosaico diagnostico che insieme alle altre tessere (transaminasi, ecografia, etc…), consente all’epatologo di comporre l’immagine del fegato del paziente.
Quali sono gli ambiti di applicazione del FibroScan in pazienti con epatite?
Il FibroScan è un esame sicuramente prezioso nella gestione clinica del soggetto epatopatico. Nella fase di inquadramento diagnostico, il rilievo di valori di FibroScan < 5 kPa mi induce a tranquillizzare il paziente: verosimilmente la sua malattia non è grave; ciò nonostante è necessario completare la valutazione clinica e di laboratorio. Al contrario, il rilievo di valori > 12-13 kPa pone il sospetto clinico di un danno epatico evoluto (cirrosi) o di un episodio necroinfiammatorio recente o in corso, con rischio di evoluzione. Ciò impone l’urgenza di completare l’inquadramento diagnostico e di instaurare un trattamento, ove necessario. Nel soggetto con valori di FibroScan intermedi (tra 5 e 12 kPa) è necessario considerare l’opportunità di controlli ripetuti nel tempo e considerare l’opportunità di eseguire una biopsia epatica, per una migliore caratterizzazione del danno (non potendosi escludere una tendenza all’evoluzione fibrotica in certi casi di bassi livelli di elasticità). Nella fase di monitoraggio, sia del paziente non trattato che del paziente in trattamento, le variazioni di FibroScan forniscono degli importanti elementi per misurare il rischio di progressione della malattia e il grado di risposta alla terapia.
Oltre al Fibroscan esistono, ad oggi, altri sistemi di valutazione del danno epatico diversi dalla biopsia epatica e quanto sono affidabili?
Numerosi marcatori bioumorali (ottenibili con un prelievo di sangue), sono stati valutati nel corso di questi anni, ma nessuno ha trovato sinora applicazione nella pratica clinica.
Questi nuovi sistemi, Fibroscan compreso, hanno ricevuto una validazione ufficiale da parte della comunità scientifica? In altre parole, un paziente può accedere a questi esami con l’esenzione del ticket?
Sebbene la validità del Fibroscan sia ampiamente comprovata dagli studi pubblicati in letteratura, purtroppo, ad oggi, non è stato ancora riconosciuto nei tariffari regionali. Talune amministrazioni per ovviare alla carenza normativa lo equiparano erroneamente ad un’ecografia dell’addome superiore, sovrastimandone il costo, mentre in altri casi il rimborso del test non è nemmeno previsto e il paziente è costretto a pagarlo.
Questo è il Fibroscan !
Fonte Web-----> By Eureka !
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andrea76
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andrea76
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Interessante! grazie @EUREKA
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Cari membri @Gianlucamot @giuseppealesi @grazziellaaltimari @Leonardo1 qual è la vostra esperienza con questa patologia? La vostra opinione potrà essere utile per gli altri membri della comunità
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santoni
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Ultima attività il 19/11/24 alle 05:03
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come state oggi cari membri?
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Cari membri mi permetto di rilanciare questa discussione. @DeLeoVincenzo @Breil90 @FrancescoS.Figoli @BiancaLillo @67anto come state oggi? Avete visto questa discussione? La vostra esperienza a riguardo ci sarà utile. Grazie tanto in anticipo
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Cari membri @Giada73 @Marcolino56 @Gecozzolino @MassimoGiarelli @Lollo94 @BrunaGlesaz come state oggi? Avete visto questa discussione? Qual è la vostra esperienza a riguardo? Vi ringrazio tanto in anticipo per i vostri contributi
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Allarme steatoepatite non alcolica
È invece la steatosi epatica non alcolica (NAFLD: nonalcoholic fatty liver disease) a rappresentare oggi la causa più frequente di malattia cronica del fegato nella pratica ambulatoriale. Si stima che circa un quarto degli italiani tra i 18 e i 65 anni sarebbe portatore di NAFLD. Questo quadro è stato considerato fino a non molti anni fa una condizione benigna. Tuttavia oggi si è verificato che in una proporzione consistente di pazienti la NAFLD può evolvere in situazioni più severe, in particolare quando alla steatosi del fegato si aggiungono infiammazione e danno epatico. Questa ultima situazione, chiamata "steatoepatite non alcolica (NASH: nonalcoholic steatohepatitis)", si associa ad attivazione della fibrogenesi e può evolvere in cirrosi ed in tumore maligno del fegato. Lo sviluppo della NASH ha una genesi multifattoriale, che include la resistenza all'insulina, le alterazioni della permeabilità intestinale, uno stato pro-infiammatorio sistemico e predisposizioni ereditarie.
Nei giorni scorsi si è svolto agli IFO di Roma un convegno dal titolo "Presente e Futuro in Epatologia ed Onco-Epatologia", un occasione per fare il punto con numerosi relatori italiani e discutere sullo stato attuale della diagnosi e del trattamento delle principali patologie croniche del fegato, in particolare sull'epatite B, sull'epatite C e sulla NASH (l'epatite cronica su base non alcolica). I dati presentati hanno mostrato inequivocabilmente come le nuove terapie mediche per le epatiti B e C abbiano oggi sostanzialmente ridotto i danni causati da questi due virus. In particolare, il numero di farmaci disponibili e l'efficacia nel controllare il virus hanno permesso un sostanziale contenimento degli importanti danni causati dal virus dell'epatite C.
Rischio tumori epatici sotto la lente
Ma è il fegato grasso a destare serio motivo d’allarme anche in ambito oncologico. Questa e e altre malattie croniche del fegato sono correlate con l'insorgenza di epatocarcinoma (il tumore che nasce dalle cellule proprie del fegato) e di colangiocarcinoma (il tumore che nasce dalle cellule delle vie biliari). Da una parte è quindi necessario verificarne le possibili terapie al fine di ridurre l'insorgenza di tumori, dall'altra quello di stabilire percorsi di gestione di questi ammalati per impostare programmi di screening e di sorveglianza per la diagnosi precoce di queste forme tumorali.
Il trattamento chirurgico dei tumori del fegato rappresenta pertanto uno dei campi di sviluppo più interessanti e effervescenti nel campo dell'oncologia medica e chirurgica. In questo settore l'Istituto Nazionale Tumori Regina Elena - IFO si è posto in una posizione di primo piano istituendo, già nel 2010, un reparto di Chirurgia EpatoBilioPancreatica, che ad oggi ha eseguito circa 600 interventi di resezione del fegato e circa 200 di resezione pancreatica, utilizzando tecniche laparotomiche e laparoscopiche.
Formazione in primo piano
Nell'ambito di queste attività, l'Istituto Regina Elena si colloca in una posizione di primo piano anche per quello che riguarda la formazione: corsi, formazione sul campo, scambi e borse di studio anche con il supporto della Società Italiana di Chirurgia (SIC). In quella che viene definita "formazione sul campo", il reparto di Chirurgia EpatoBilioPancreatica dell'Istituto nazionale Tumori Regina Elena è stato identificato da parte della Società Italiana di Chirurgia (SIC) come centro di riferimento per la chirurgia del fegato ed inserito nel programma della SIC Academy.
Tale programma ha messo a disposizione dei soci SIC una serie di borse di studio la cui finalità è di consentire la frequenza presso Centri nazionali di riferimento (individuati sempre dalla SIC) allo scopo di acquisire o aggiornare le conoscenze riguardanti indicazioni e tecniche in diversi settori della chirurgia.
Una delle borse che riguardano la chirurgia del fegato è stata messa a disposizione del Regina Elena ed è stata poi assegnata ai colleghi dell'Ospedale Vito Fazzi di Lecce. Ospiteremo a Roma, per due periodi di una settimana ciascuno, i chirurghi generali dell'ospedale leccese che condivideranno l'attività quotidiana di reparto e, soprattutto, di sala operatoria che si svolge agli IFO. Nel mese di marzo sarà invece il sottoscritto a recarsi a Lecce per eseguire interventi di chirurgia resettiva del fegato.
Essere identificati dalla principale società italiana di chirurgia come centro nazionale di riferimento nell'ambito della chirurgia del fegato rappresenta sicuramente un importante e significativo riconoscimento degli sforzi intrapresi in questi ultimi 7 anni dalla mia equipe e da tutti i colleghi che si occupano di malattie del fegato, delle vie biliari e del pancreas all'interno dell'Istituto Regina Elena.
di Gian Luca Grazi (direttore chirurgia epatobiliopancreatica Irccs Int Regina Elena-Ifo Roma)
Sanità 24