La depressione nel 2030 sarà la malattia più diffusa nel mondo
Pubblicata il 24 mag 2018
La previsione dell’Oms. Oggi solo il 3% dei malati riesce a lavorare. Progetto Itaca: «I malati seguiti e curati correttamente possono riacquistare benessere»
Nell’ultimo anno in Europa sono stati spesi 450 miliardi di euro per la cura di malattie che riguardano la sfera psichica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che nel 2020 la depressione sarà la causa principale di assenteismo dal lavoro e nel 2030 sarà la malattia più diffusa.
Più del cancro, più delle patologie cardiache, più dell’Alzheimer. Eppure depressione, schizofrenia, bipolarismo, pur così diffuse, sono malattie da cui continuiamo a prendere le distanze. Disturbi di cui vergognarsi. Da nascondere, non raccontare. «Neghiamo la fragilità psichica, che è tipica dell’animo umano e che può a volte sfociare in malattia mentale, anche se è parte del nostro quotidiano, tutti abbiamo un parente, un amico, un collega, malato», dichiara Luca Franzi, presidente di Progetto Itaca Milano, la Onlus di settore diventata in quasi venti anni di attività punto di riferimento a livello nazionale.
Nell’anno in cui si festeggia il quarantesimo della Legge Basaglia, l’associazione ha sentito il bisogno di rimarcare alcuni punti fondamentali. E ha comunicato di nuovo, con molta forza, che la malattia mentale è curabile, ma che lo sforzo deve essere collettivo. «Non lanciamo un messaggio di speranza ma una certezza: le persone malate seguite e curate correttamente possono riacquistare benessere e aspirare come gli altri a vite soddisfacenti», ha detto ancora Franzi.
«Dobbiamo lottare contro la convinzione che la persona con fragilità psichica sia pericolosa. È un pensiero erroneo che porta a discriminazione ed a emarginazione. Lo vediamo ancora oggi: se prima della riforma voluta da Franco Basaglia la reclusione avveniva nelle corsie dei manicomi, oggi continua purtroppo dentro le mura domestiche. Inaccettabile». Leo Nahon, già direttore S.C.Psichiatria 3 Ospedale Niguarda di Milano, che è stato assistente del grande psichiatra veneto, ha ricordato che Basaglia diceva sempre che anche nella persona più deteriorata dalla malattia e in maggiore difficoltà rimane un nucleo intatto. «La chiamava la piccola cassetta dei valori, nascosta ma presente. Un tesoro da coltivare e far emergere, perché per la società, la collettività, la perdita anche di un solo malato rimane un lutto», ha spiegato Nahon.
Le ricerche scientifiche hanno ormai dimostrato l’aspetto biologico della malattia mentale. Il ruolo degli psicofarmaci, associato al supporto psichiatrico e psicologico e alla rete di aiuto del volontariato, diventa fondamentale. Lo dimostrano i dati. Ne ha parlato Gianluca Rosso, dirigente medico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria San Luigi Gonzaga di Torino, riferendosi a tre principali malattie: disturbo depressivo maggiore, disturbo bipolare, schizofrenia. «Il trattamento con antidepressivi riduce del 70% il rischio di ricaduta nei casi di depressione», ha sottolineato lo specialista, «per quanto riguarda il bipolarismo la cura farmacologica continua assicura tassi di ricaduta del 19-25% contro il 23-40% di chi non assume farmaco, mentre per la schizofrenia dopo dodici mesi di trattamento il rischio è del 27% contro il 64% del paziente senza terapia». Informazione e prevenzione per combattere lo stigma e aiutare il reinserimento dei malati. «Oggi solo il 3% di queste persone riesce a lavorare. Un dato che è una sconfitta per tutti».
Corriere.it - Marta Ghezzi