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La descrizione della mia depressione
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Andare all'ultimo commentoEx membro
Vorrei porvi una domanda: questa situazione psicologica in cui viviamo quando è nata in voi? Io sono così da sempre, in tutti i miei comportamenti. E' una cosa che mi sta incuriosendo molto e che credo essere molto importante per trovare una soluzione ai miei problemi.
Anto56
Anto56
Ultima attività il 13/10/19 alle 12:52
Iscritto nel 2015
5 commenti pubblicati | 5 nel gruppo Convivere con la depressione
Ricompense
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Partecipante
Alessandro ,io non lo so da quanto sono così..non me lo sono mai posto come quesito ...ma forse sotto sotto da sempre...bello il tuo scritto...come è andato a finire?
Ex membro
E' andata che ha risposto e che abbiamo messaggiato un po'; ma quanto ho scritto prima ha trovato conferma: non è andata secondo i miei sogni. E' stata comunque un'esperienza positiva, mi ha fatto capire che non posso fidarmi troppo della realtà immaginifica che mi costruisco costantemente. Spero un giorno di poter ridurre questa attività di pensiero così febbrile e mettere il tempo in più nella mia vita di tutti i giorni.
Ho rivolto a te questo quesito, come agli altri, perché ho notato come molti dei comportamenti che ho, estraniarmi dalla realtà fantasticando, parlare da solo, isolarmi, siano gli stessi comportamenti che avevo da piccolo quando giocavo. Mi chiedo se alla fine tutto questo sia una continuazione dell'attività di gioco. Ma mentre in molti bambini il gioco è un espediente per poi inserirsi nel mondo reale, per me è diventato mondo reale. Con la mia fantasia ho costruito personaggi e storie, e anch'io sono diventato personaggio. Ovviamente non si può vivere bene rimanendo confinati nella propria testa e si soffre irrimediabilmente. Ti riconosci anche tu in questa situazione?
Anto56
Anto56
Ultima attività il 13/10/19 alle 12:52
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5 commenti pubblicati | 5 nel gruppo Convivere con la depressione
Ricompense
-
Partecipante
Ale,non mi riconosco perché dentro di me ,penso ci sia un censore che mi proibisce anche di fantasticare........un po' ti invidio questa tua capacità,anche se poi tu dici che non si può vivere cosi....ma a me sembra bello essere sempre in contatto con il bambino che è in noi....non credete?
Ex membro
Alessandro, ma tu sei semplicemente un artista, una razza umana parallela a quella dell'Homo Sapiens Sapiens.
Un pensatore, uno scrittore, magari un musicista. Guarda solo con quanto talento racconti di te e delle tue sensazioni! "Ossimoro emotivo"..caspita!
Al diavolo i farmaci e anche la psicanalisi: . Con tutto il rispetto per chi ci crede.
Sei uno che ha capito tutto nella vita, che dovrebbe godere della sua "malattia del vivere", perché sono le persone come te che fanno vedere agli altri un'altra dimensione della vita perché ne colgono le contraddizioni, il veleno. Non ribellatevi al vostro Essere, (lo dico anche a Duchessa) tanto non ne uscirete mai, (e meno male) questa "razza" è fatta così! Va invece goduta, esperita con pienezza. Col passare degli anni capirete che la vera felicità è nella consapevolezza di ciò che meravigliosamente siete e riuscirete a fare delle "fotografie panoramiche" della vostra vita e della società che vi circonda (che mai vi amerà perché siete incomprensibili) sintetizzando il male del vivere e trovando proprio in questo male il coraggio di andare avanti, consapevolmente.
Alessandro, posso darti un consiglio assolutamente spassionato? Godi te stesso, e SCRIVI.
P.S. quando non riuscite a dormire, leggete o ascoltate quest'opera, la terza sinfonia di Mahler, uno come voi. In questa sinfonia fa un viaggio in sè e nella società malata, velenosa, incoerente, trovando in se stesso la sintesi e la consapevolezza:
Buona Vita!
Ex membro
Sundust ti ringrazio per le parole di stima! Mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento. Per quanto possa essere preciso nel mio discorso, per quanto possa trovare belle frasi, ho compiuto la mia scelta: stare bene; e per stare bene voglio ordine. La mia attività di pensiero non deve scomparire, ma essere ridimensionata in uno spazio temporale ben preciso. Non posso perdere tempo, perché anche se volessi divenire scrittore, quest'attività è talmente ossessionante che mi impedisce di scrivere. Poi ho disturbi emotivi: rimarrò per il resto della mia vita ipersensibile, ma voglio essere più resiliente, ovvero voglio gestire meglio la mia emotività. Credo che accettare un problema significhi comprenderne anche le potenzialità positive. I problemi che ognuno di noi ha non sono risolvibili, sono ridimensionabili. Tempo fa ho letto un libro davvero illuminante: l'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, scritto dal celebre neurologo Oliver Sachs. Chiunque decida di leggere questo saggio avrà modo di capire che cosa sia la malattia e come questa possa anche essere un vantaggio per il malato; ma questa non deve eccedere, non deve stravolgere la nostra vita, condizionandola a tal punto da non volerla più. Questo significa guarire: portarsi avanti tutto, con ordine e disciplina. Credo di avere risposto anche alla tua domanda Antonella: è molto piacevole mantenere una situazione di gioco, come i bambini; ma non puoi giocare tutto il giorno! Senza dimenticare che questo gioco può essere condiviso. E se non metti tutto questo a servizio dell'altro, questa attività ludica, e speculatoria, rimarrà sempre confinata, e quindi inutile. Antonella non voglio essere inutile: ho la presunzione che io possa condividere un sorriso con qualcuno, che possa divertire molti e stare bene. Ho tanta voglia di condividere i miei pensieri e la mia frivolezza: essere una voce calda e provocare uno scoppio di risa. Forse cara Antonella devi prima di tutto parlare con te stessa: non è difficile ritornare a giocare.
Ex membro
Oggi ho pensieri amari. Sto leggendo "Thinking, fast and slow" di Kahneman; un saggio di psicologia. La nostra realtà di pensiero è strutturata in due sistemi: il primo è sede dell'intuizione, il secondo del pensiero razionale. I nomi dei due sistemi non sono molto originali: il primo si chiama uno, il secondo due...ma non è importante il loro nome, ma la loro connettività. Il sistema uno è il database dei nostri preconcetti, delle opinioni stereotipate della realtà; e tale sistema influenza il secondo, sia nel momento del suo funzionamento, sia nell'elaborazione di pensieri complessi. Per fare un'analogia, il sistema uno sta al sistema due come le lenti a contatto ai nostri occhi. I preconcetti nascono dalla nostra esperienza di via ma soprattutto da quello che prendiamo in eredità dai nostri genitori e dalla nostra famiglia. Ecco perché oggi ho pensieri amari: i miei genitori hanno distorto il mio modo di vedere la realtà. Mia madre e mio padre sono immobili, perennemente queruli e provano compiacimento nell'esserlo. Mi fanno orrore. E mi sento un verme a tradirli qui, di fronte a voi, dimostrandomi un figlio ingrato, che volta le spalle a coloro che hanno fatto mille sacrifici per mantenermi e crescere. Inoltre sono padre a mia volta: ho incredibilmente paura di poter dare a mio figlio gli stessi insegnamenti distorti e oscuri che i miei hanno dato a me. E' per questo che sono in Irlanda in questo momento: il mio obiettivo è di recuperare una brillantezza e una serenità che possano essere utili per lui. Ora sono solo una persona che gli incuterebbe timore e odio per tutto e tutti, arroganza e spocchia. Spero di concludere questo percorso il prima possibile, perché mi manca terribilmente.
Anto56
Anto56
Ultima attività il 13/10/19 alle 12:52
Iscritto nel 2015
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Ricompense
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Partecipante
Alessandro ,ti trovo una persona molto sensibile...troppo?ti auguro di ritornare presto dai tuoi affetti convinto e con una chiarezza che ti renda sereno..
Ex membro
Diversi minuti fa ho visto lo spettacolo "e lasciatemi divertire" con Paolo Poli su rai tre. In questa puntata si parlava di superbia. Come in ogni episodio un vizio capitale viene presentato da un famoso psicoanalista lacaniano: Massimo Recalcati. Egli definisce la superbia come un peccato molto grave, se non addirittura il peggiore, perché in questo si annida anche la malattia mentale. Afferma di più: la sofferenza mentale non deriva da una insufficienza dell'io ma da un eccessivo attaccamento all'io. Sono rimasto molto colpito da questa affermazione, ancora di più rileggendo i molti vostri commenti. Vi è una completa dissonanza tra quello che fino ad ora abbiamo scritto e questa sentenza. Mi sono sempre visto accidioso, non presuntuoso, e la presunzione è talmente distante da me da provare forte fastidio nel vedere una persona dedicarsi troppa importanza. Se non ho fiducia in me e non amo me stesso, perché la depressione dovrebbe essere un attaccamento all'io?
Superbia ovvero presunzione. Presunzione da praesumere, cioè congetturare. Ogni attività di pensiero, in quanto congettura, è presuntuosa, e la depressione è una particolare forma di attività di pensiero, ossessionante e vigliacca, che ti coglie sempre all'improvviso, annichilendoti. E' un pensiero in quanto si regge sulle opinioni che si ha di mondo e realtà umana. E'un pensiero talmente forte da distorcere i tuoi sensi. Una volta descrissi allo psicoterapeuta che mi ha in cura la percezione che ho della realtà appena sveglio: mi sembra tutto bidimensionale, privo della forma consueta, addirittura meno colorata. Ogni volta che cerco di figurarmi di nuovo quei momenti sono colto dall'ansia. La depressione è anche risposta alla mancanza di io: meno è presente, più si ricerca. Non si trova magari, ma se ne sente la mancanza. Non è forse questa nostalgia una forma di attaccamento? La depressione quindi come forma di attaccamento spasmodico a qualcosa che non c'è ma che si vuole avere. O forse l'io è sepolto in metri e metri di paure e ansie, di spaventi e odio: è lì, dove deve essere, ma non gli si dedica il giusto tempo, le giuste attenzioni, non gli si da la possibilità di sfogarsi; e non si fa tutto questo perché si ha paura dell'altro, di come potrebbe reagire e quindi di come potrebbe ferirci emotivamente. Si ha paura del confronto tra ciò che si crede di essere e ciò che si è, tra ciò che crediamo essere mondo e ciò che è veramente. E' vigliaccheria.
Mi sento molto vigliacco: ho paura di provarci perché ho paura di essermi aspettato troppo da me stesso e il conseguente rendermi ridicolo mi ferirà emotivamente. Mi riconosco anche in un altro aggettivo: suscettibile. Credo che ogni persona mi stia criticando o stia ridendo di me, perché si è resa conto di quanto io sia sciocco nell'avere una considerazione di me di gran lunga superiore alle mie reali capacità; in altre parole mi ha smascherato. Mi sento vergognoso con loro, sempre colpevole, mai a mio perfetto agio. E quando parlano non gli ascolto, sono distratto, preoccupato. Sono arrivato ad isolarmi perché non voglio che i miei pensieri possano essere trasgrediti. Mi chiedo: non accettare l'altro, demonizzandolo, non accettare il mondo, distorcendolo in un incubo, non sono forse manifestazioni di grande presunzione? Non sto portando tutti e tutto, proprio perché cattivi e pericolosi, ad un livello inferiore al mio, vittima di una natura maligna?
Ex membro
Ancora una volta mi rivolgo a voi, nella speranza che qualcuno possa esprimere le sue opinioni, oppure nella speranza che qualcuno possa riconoscersi in me e nei miei problemi. Quella che leggerete sotto è una pagina del mio diario, la stessa che ho inviato al mio psicoterapeuta pochi minuti fa. Racconto un episodio della mia vita e di come questo mi stia influenzando negativamente; e attraverso tale episodio riesco a trovare una definizione di depressione molto più pertinente ed esatta, una definizione coerente con ciò che sto vivendo. Spero che qualcuno possa riconoscersi in questa descrizione, per poterne poi parlare insieme.
Ieri sera ho avuto uno screzio con i miei genitori. Ho comunicato loro che voglio lasciare il lavoro in Italia per provare a fare qualcosa qui all'estero. E' una decisione che a primo avviso può sembrare scriteriata e senza senso, soprattutto perché ho un figlio da mantenere; ma è una decisione di necessità e vorrei far capire ai miei l'esigenza di tutto questo. Innanzitutto negli ultimi dieci mesi ho inviato migliaia di curricula e mi sono candidato in centinaia di posti aperti: non vengo nemmeno preso in considerazione. La cosa più struggente è che non riesco a capire il perché. Almeno all'estero ho la speranza di potercela fare e mi rincuora. La speranza è che maturando un'esperienza lavorativa fuori di confini nazionali possa poi trovare lavoro con più facilità nel mio paese. Un'altra ragione è la possibilità di vivere per un periodo delle mie sole forze, sistemandomi emotivamente e psicologicamente, intraprendendo un percorso di crescita ulteriore, che mi faccia uscire definitivamente dall'adolescenza. L'Irlanda è una sfida a me stesso, a tutte le mie fobie e alle mie paure, è sto riuscendo a superarle! E' una soddisfazione calda e ristoratrice, mi fa sentire bene e sempre più sicuro. Riesco a vincere la timidezza con più facilità, perché mi ritrovo ad essere sempre più curioso e positivo. Anche nell'apprendimento dell'inglese vedo dei miglioramenti, forse anche perché riesco a relazionarmi meglio con gli altri. Ho meno fame nervosa e mi piace muovermi il più possibile: non mi nego mai il piacere di una passeggiata in riva al mare o nel lungo fiume. Mi sento molto più in forma di prima: sono dimagrito parecchio e non fumo più. Non tocco una sigaretta da più di una settimana senza crisi di astinenza. Ci sto riuscendo perché ho altro a cui pensare e il bisogno di tabacco non trova spazio nei miei pensieri.
Non voglio parlare solo delle mie ragioni, ma anche del disturbo emotivo che mi ha provocato questo evento. In questa prima ora e dieci di studio mi sono distratto molto, sentendo la voglia irrefrenabile di parlare da solo; e per alcuni minuti l'ho fatto. Mi vedevo davanti ai miei genitori e ai miei parenti che spiegavo i motivi del mio gesto. Parlavamo, alzavamo la voce, litigavamo. L'illusione aveva inoltre diversi finali alternativi: io che capitolavo, magari ritornando in quel pidocchioso cinema,; io che lasciavo casa dei miei senza farmi più vedere, nutrendo per loro un forte rancore per il resto della mia vita, oppure io che vincevo, convincendo mia madre, ma non mio mio padre, della bontà delle mie opinioni. Come sempre un evento emotivamente forte mi sciocca, liberando in me la mia fantasia: questa mi porta ad immaginare il mio futuro e tutte le possibili implicazioni. L'impressione è che io sia molto preoccupato di quello che sarà, e il mio pensiero cerca autonomamente di prepararmi a diversi scenari. Perché? Forse non mi fido di me stesso e delle mie capacità, forse ho solo paura, oppure lo faccio per farmi coraggio. Eppure in tutto questo c'è qualcosa di sbagliato: sia perché il pensiero è ossessionante, sia perché ritengo che sia ancora una volta forviante da ciò che dovrei curare con maggiori attenzioni: le ragioni del mio gesto. Forse non devo solamente migliorare la resilienza emotiva, ma anche tarare il mio pensiero; focalizzandomi di più su ciò che è veramente importante. La reazione dei miei genitori è su un piano futuro, le mie ragioni sul piano del presente e solo a questo dovrei pensare. Eppure speculo troppo e questo processo è talmente irrefrenabile che ho dovuto interrompere ciò che stavo facendo per scrivere, ne tentativo di sfogarmi. È inimmaginabile poter credere di andare avanti così, devo trovare una soluzione sennò la mia vita sarà sempre da recluso, prigioniera di un pensiero soffocante e non dotata del potere di dire: “Basta! su queste cose ci torno dopo. Adesso ho altro da fare, cose importanti che possono influenzare in positivo ciò che ho deciso di realizzare: i miei progetti e sogni.“
Dopo aver scritto e riletto tutto non mi sento tanto meglio: i miei sogni sono un poco più remoti, ma li sento ancora presenti, pronti a farsi avanti e disturbarmi. La voglia di parlare è anch'essa scemata, ma non so quanto ancora io possa resistere. Ora mi sento assediato: pensieri rabbiosi e violenti girano in torno a me; mi lambiscono e poi attaccano. Nella prima e mail inviata allo psicologo ho descritto la stessa sensazione, attribuendola all'effetto della depressione che ha su di me. Forse oggi posso dire qualcosa in più del mio problema: la mia depressione è un insieme disordinato di pensieri, alcuni rabbiosi, altri folli ma tutti concentrati sul futuro, che ruotano intorno a me, impedendomi di vivere serenamente. E' una foschia davanti agli occhi,che mi riempie di nervosismo ed ansia; che mi fa sprofondare nell'accidia: non faccio più niente, inerme cerco solo di gestire le forti emozioni che derivano da questi pensieri vorticosi; cerco di sopravvivere da essi. Altre volte riesco a liberarmi da questo gioco cercando delle distrazioni: vedere qualcosa su youtube, leggere, ascoltare la musica; ma anche questi espedienti, quando riesco a metterli in pratica, non sono sufficienti. I pensieri rimangono lì, fissi a guardarmi, ossessionandomi.
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Ex membro
Volevo iniziare questa discussione per motivi ovviamente personali. Sto soffrendo di un forte stato confusionale, soprattutto di carattere emotivo. Passo da momenti di cupa malinconia a momenti di forte esaltazione. Sento intorno a me qualcosa aleggiare. Non so se sia depressone o meno, ma questo dolore mi gira sempre intorno, mettendomi ansia. Mi attacca con grande violenza, per poi ritirarsi e darmi l'illusione che tutto possa finalmente essere passato. Mi trovo prigioniero di un eterno ritorno. Inoltre sono affetto da una forte eccitazione nervosa, la quale mi impedisce di fare fronte allo stress emotivo che subiamo tutti i giorni: è sufficiente la reazione smodata di una persona, o smodata per la mia percezione della cosa, per piombare in mille pensieri e lamentele personali. L'incapacità di saper gestire emozioni mi porta all'isolamento. L'isolamento a sua volta mi porta a parlare molto da solo e a fantasticare sulla mia vita molto più di quanto vorrei. Il tempo che perdo in questa attività immaginifica è enorme, impedendomi di poter svolgere le attività reali che ho in mente. La mia è una qualche forma di procrastinazione.
Qualcuno si riconosce in questa descrizione? E se si, come vive tutto questo? Che possibilità ci sono di guarire?
Grazie, anche per chi solo ha avuto il tempo di leggere queste parole.
Alessandro