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La descrizione della mia depressione
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Andare all'ultimo commentoEx membro
Ciao Camille. Non ho studi umanistici alle spalle, anzi ho una laurea magistrale in economia, qualcosa di molto differente e un poco più noioso. Alcune volte nella mia vita ho sperimentato periodi di stanchezza dal leggere, astenendomi da qualsiasi libro; anch'io convinto che non potessero insegnarmi niente. Ed è così. Ma quando lessi Oblomov l'anno scorso pensai:"devo fare qualcosa." Se non avessi letto quel libro, non mi sarei mai mosso e non avrei mai iniziato quello che sto in questo momento sperimentando. Il libro non mi ha detto niente, non mi ha insegnato nulla: non solo non mi ha detto come uscire dalla fantasia, ma neppure riesce a dare un nome a questa sindrome. Accidia? Depressione? Ipersensibilità? L'unica cosa che è riuscita a fare è stata scuotermi e chiamare uno psicoterapista. La lettura non salva Camille, forse è più salvifico esprimere se stessi con le parole, oppure con comportamenti e azioni. Forse sarebbe meglio prendere ad esempio gli scrittori che i loro scritti: loro si sono esposti; e noi?
Ex membro
30/09
Abbandono questa terra dopo che mi ha nuovamente accolto e ancora una volta offerto tempo e prospettive nuove. Non posso dirmi che soddisfatto dell'esperienza, seppure lascio qualche rammarico: forse dovrei capire che non poteva andare diversamente, soprattutto se mi sottraggo. Ho la netta impressione che non tornerò mai in Irlanda, se non tra molti anni, quando sarò più vecchio, o addirittura vecchio, con i capelli canuti e la memoria ancora più pesante di ora. Voglio affidare a questo diario alcuni pensieri di oggi e di ieri.
Ieri sera stavo studiando per l'esame e sono riuscito a fare qualcosa che da tanto tempo non provavo: orientare le mie ansie verso l'esame, e solo verso questo. Finché continuerò ad ospitare ansie così aspre verso un futuro lontano ed imprevedibile, il mio presente e il mio passato appariranno sempre come qualcosa di insignificante, privo di valore. La sensazione di non avere mai vissuto pienamente la mia vita è dovuta anche a questo: senza dimenticare il mio immobilismo e la mia incapacità di agire, devo capire che il mio fantasticare, risultato del mio stato ansioso, mi sta inaridendo, non permettendomi di cogliere il mio passato con contentezza e il mio presente con speranza. L'ansia si mangia tutto: le mie conquiste passate, che diventano insignificanti, e i miei progetti per il presente, perché diventano ridicoli al cospetto di un futuro spietato e senza prospettiva. Devo orientare questo sentimento, trasformandolo in qualcosa di utile, ovvero che diventi uno stimolo di fare meglio e di più. Alla luce di questo ho capito che devo ripensare interamente alla programmazione della mia giornata: devo fissarmi più obiettivi di brevissimo periodo, i quali devono essere sia quantitativi sia qualitativi. In altre parole devo iniziare a quantificare la mia vita presente, fissando giornalieri numeri da raggiungere: numero di pagine da leggere, numero di pagine da studiare, numero di curricula da inviare, numero di decisioni da prendere, numero di messaggi e conversazioni da dedicare agli amici, numero di attività da svolgere con Albi. Ogni obiettivo giornaliero deve essere relazionato a ciò che voglio fare nel futuro.
Questo esame mi ha ricordato qualcos'altro: durante l'università, mentre ero sotto esami, non pensavo come penso adesso: non c'era la stessa frenesia, tutto era focalizzato al conseguimento del risultato. Credo che questa sia la ragione per cui desidero tanto studiare: con lo studio mi pongo obiettivi, e con la presenza di obiettivi mi trovo costretto a orientare i miei pensieri, il mio stato d'animo e le mie aspettative verso l'obiettivo. Non sono sempre costante, ma ci riesco. Questo anche spiega il mio black out in occasione della fine degli esami della laurea magistrale. Questo è anche il motivo della mia febbrile voglia di trovare lavoro: spero che questo possa darmi quegli obiettivi di cui tanto ho bisogno, assorbendo parte della mia emotività e fantasia. Non credo che sia giusto che solo il lavoro, un fattore esterno, possa essere il deterrente, oltre il catalizzatore, alla mia attività e alla mia emotività: devo trovare degli obiettivi personali, imposti da me a me stesso, che senta necessari da soddisfare. Credo che il mio esercizio di concentrazione debba permettermi di arrivare a questo, o forse che sia proprio questo.
Guardavo la baia di Galway e il paesaggio mi sembrava falso. Appare vero solo nei miei ricordi. Il mio processo creativo crea immagini molto più vere della realtà: la mia finzione è colta con assoluta veridicità, diventando subito nostalgia. Così non riesco a godermi il momento.
Ex membro
Ciao a tutti,
sono entrata in questa community solo adesso, per cui sebbene abbia letto tutti i post in questa discussione (principalmente tuoi), non riesco a rispondere punto per punto a tutte e tante le domande che ha posto @alessandro14 ; cercherò di raccontare un po' la mia esperienza, così simile alla sua, sperando di ricordare almeno i punti più importanti.
Ho 25 anni, ho finito a luglio gli esami della laurea magistrale e mi rimane solo da scrivere la tesi per finire questo sudato percorso accademico. Compito che, senza esagerazione, mi pesa più di tutti gli esami che ho dato in vita mia messi insieme. Apro i libri e li chiudo dopo poco carica di ansia; anche se sono andata apposta in biblioteca per avere una spinta in più me ne torno a casa dopo poco, vergognandomi ed inventando scuse se devo salutare qualcuno che conosco. Faccio finta che il problema non esista, mi instupidisco di tv per non pensarci. L'idea di saltare questa sessione di laurea e prolungare questa agonia mi uccide, e allo stesso tempo non riesco a decidermi ad impegnarmi. E' una frase che suona molto stupida, ma che credo che molti di quelli che leggono questa discussione possano capire.
Perché mi trovo in questa situazione? Ultimamente (non saprei dire quando, credo sia stata una cosa graduale negli ultimi tre anni, a seguito di varie delusioni accademiche, prima fra cui non essere stata in grado di andare a fare un Master all'estero) sono arrivata alla consapevolezza, come @Camille , che la cultura non paga, specialmente quella umanistica. Non ce l'ho col governo, non ce l'ho con la società attuale: non ci possono essere fisicamente abbastanza posti di lavoro per laureati in lettere, è un dato di fatto, uno dovrebbe solo esserne consapevole prima di iscriversi. Io purtroppo non ho avuto tanta lungimiranza. So di avere fatto una scelta di vita sbagliata cinque anni fa, quando mi sono iscritta a questa facoltà, e so di non poter dare la colpa a nessuno tranne che a me (sono ancora abbastanza razionale da poter capire che accusare genitori "troppo poco severi" è da idioti). So di avere buttato cinque anni della mia vita, e che non avrò nessuna seconda possibilità per la mia formazione. Ormai sono bloccata qui (e per qui intendo Italia, io avevo "sogni di gloria" altrove), con prospettive di carriera decisamente magre. E per magre intendo che nei momenti peggiori penso che non potrò mai avere un lavoro che mi permetta di guadagnarmi da vivere in autonomia, mi chiedo come facciano gli altri ad avere un tetto sopra la testa (ma questo estremo capisco che è probabilmente dettato solo dalla mia condizione attuale, e che bene o male tutti se la cavano, anche io ce la farò). Cerco con fatica di portare a termine questo ultimo compito per tagliare ogni mio legame con questa esperienza universitaria che voglio dimenticare al più presto, e allo stesso tempo guardo al "dopo" con terrore. Che faccio, dopo? Altra ansia, altra depressione.
A questo riguardo, poi, non ho alcun appoggio (anzi, a volte mi sembra ostilità attiva) da parte del mio ragazzo. Stiamo insieme da ormai cinque anni e conviviamo da due, ma mi sembra di avere scoperto solo di recente che persona è davvero. Sono mesi che litighiamo perché ho preso finalmente coscienza di questo mio problema di ansia/depressione, e gli chiedo un unico supporto: aiutami a pensare al futuro razionalmente. Non intendo sposami,mettiti giacca e cravatta e vai a lavorare per mantenermi; non intendo trova tu una soluzione ai problemi del mondo; voglio solo dire, ogni tanto, specialmente quando vedi che io non ragiono "bene" al riguardo, dimmi qualcosa di propositivo e razionale. Fammi capire che ho il tuo appoggio e aiuto nell'andare avanti in questa vita, non mi far sentire come se fossi sola a guardare in avanti, cosa che sai che mi fa venire le vertigini e cadere. Invece quando io muovo paure per il futuro, lui (probabilmente insofferente perché è da tempo che mi deve sopportare in questa condizione) risponde seccato che non vuole pensare a queste cose, che "poi pensa dio", che tanto poi "farà il barbone". Questo atteggiamento è forse dettato a sua volta da uno stato di ansia e depressione, perché sinceramente alcuni dei suoi comportamenti mi ricordano i miei, però mi fa sentire lo stesso molto male. Mi sento sola, mi sento caricata di tutte le responsabilità della vita di entrambi, quando ho ansia solo per le mie. Non lo sento un compagno di vita, perché non la vuole costruire con me, nel momento in cui invece ne avrei più bisogno. Sia questo che l'idea di doverci lasciare mi lascia in un vortice di confusione e ansia.
Questa è la mia situazione al momento. Ma cosa riguardo i sentimenti, le sensazioni su cui tanto si interrogava @alessandro14 ?
Io, come molti di voi, mi sento completamente apatica. Però riesco a fare le cose del vivere quotidiano, anzi, mi aggrappo molto alle routine. Mi sembrano la mia ancora di salvezza: pulendo e riordinando casa, andando a correre in dei giorni stabiliti, ho l'impressione di avere ancora un controllo sulle cose, seppure apparentemente facili. La cosa mi dà molta pace. Se ho un ordine, una commissione, un'incombenza sono felicissima. Qualsiasi cosa richieda l'impiego delle mie mani e del mio tempo, e nessun impegno della mia testa, soprattutto della mia volontà. Perché io non voglio fare niente.
Razionalizzando, la mia apatia riguarda più il godersi le cose; e purtroppo mettendola così la sua origine va molto indietro nel tempo, e mostra un problema più profondo. Da quando ero al liceo, mi sono resa conto che non mi piacciono le attività che generalmente piacciono alle persone. All'inizio la interpretavo come una mia diversità, alle volte anche positiva: non a tutti deve piacere ballare in discoteca, non a tutti deve piacere bere fino al vomito. Sono gusti, e io sono diversa. Solo un po' più noiosa della media, ma pazienza. La cosa però con gli anni è peggiorata (le attività che "non mi piacciono" sono aumentate esponenzialmente), o meglio, mi sono resa conto che la mia capacità di divertirmi o godermi una qualsiasi situazione è uguale a zero. Ok, non a tutti piacciono le stesse cose, ma a me cosa piace? Perché gli altri condividono foto delle loro serate in cui ridono e scherzano, e io se esco con loro mi invento scuse per tornare a casa presto (quelli che mi conoscono pensano che io sia la persona che dorme di più al mondo, probabilmente)? Invidio e provo odio per chi riesce a trovare piacere nel vivere quotidiano. Ricordo chiaramente una mattina di sole, due anni fa, che andavo all'università e vedendo una donna straniera che parlava al telefono e rideva mi sono chiesta, sgomenta "ma che cosa può mai ridere?Come fa?". Da allora in realtà il mio pensiero rimane costantemente questo.
Contemporaneamente il mio problema si è aggravato, e io l'ho capito. Ho cercato a lungo di ignorarlo, o comunque di cercare di cavarmela da sola (da domani cambio tutto, farò un sacco di cose e sarò allegra e gentile con tutti) ma ora ho capito che è patologico e non posso più andare avanti così, per cui ho chiesto un aiuto psicologico (a partire da domani, incrocio le dita). Spero veramente ci possa essere una via di uscita. Al momento, la vita non mi sembra degna di essere vissuta. Nel senso, se la vita è tutta qui io non voglio andare avanti per quanti anni mi sono dati. Credo che la mia unica ancora di salvezza stia nel fatto che almeno adesso ho capito che la vita è tutta qui, ma c'è un problema nella mia testa che non me la fa godere. Spero solo vivamente sia risolvibile.
Riguardo alla fantasia e alle discussioni con persone non presenti, @alessandro14 , sinceramente non ti so rispondere; da una parte mi ritrovo nelle tue descrizioni (anche io immagino discussioni con altre persone, specialmente quelle che sento molto e mi fanno "infiammare") in pieno giorno; ogni tanto mi rendo conto addirittura di farlo "in pubblico" (ma unicamente se sono da sola, per es. se sto andando a fare la spesa o qualcosa del genere), e di farmi trasportare tanto da avere un accenno di gesticolare o muovere un po' le labbra; ma la cosa (forse a torto) non mi ha mai destato preoccupazioni. Credo che tutti sognino ad occhi aperti (e non intendo solo sogni di gloria, anche fantasticherie senza senso nell'arco della giornata) e tutti discutano mentalmente con altri interlocutori. Nello specifico non mi ritengo una persona con particolare "attività immaginativa". Ma forse io sono solo poco sensibile, mentre tu che ti interroghi molto sui tuoi stati d'animo e su quelli degli altri sei riuscito a cogliere più profondamente il punto della questione. Non saprei.
Comunque, chiedo scusa a tutti per essermi dilungata tanto ma mentre scrivevo ho sentito la necessità di svuotarmi, anche se forse era fuori luogo con tanti argomenti e in una unica discussione; chiedo scusa se sono andata off-topic o se sono stata semplicemente troppo prolissa, e mi auguro di poter rimediare con interventi più appropriati in futuro. L'idea di questa comunità mi piace molto, vedo solo con dispiacere che è ancora poco usata, o con regole un po' casuali, ma spero di poter dare il mio contributo per farla crescere e per aiutare chiunque si trovi nella mia stessa situazione.
A presto
Ex membro
Ah, e sai cos'altro, @alessandro14 ? Come dicevi tu, mi accorgo che quando parlo con terzi parlo sempre e solo di me. Non vorrei ma mi rendo conto di monopolizzare il discorso riportandolo sempre a me e alla mia buia visione del mondo. E il post precedente lo dimostra.
Ex membro
Cara @Marvin;
leggendo il tuo commento mi sono trovato di fronte ad una ragazza di 25 anni molto empatica: ti interroghi su te stessa e gli altri, su come il mondo che ti circondi sia fatto e sulla tua relazione. Così in queste righe hai messo molto di te stessa, del tuo ragazzo, dei tuoi amici e delle persone che ti circondano. Non ho avvisato nessun comportamento egocentrico: hai espresso una personale opinione che ho avuto piacere di leggere, in quanto mi sono identificato molto nelle tue parole.
Non sono d'accordo con te sugli studi umanistici. Credo che un percorso di psicoterapia ti farà capire quanto sia importante trovare le parole più giuste per descrivere noi stessi e gli altri, perché solo così possiamo dare un'identità al nostro malessere e combatterlo. Dunque non è la lettura di un libro che può cambiarti la percezione della realtà ma le parole. Nel primo paragrafo penso di averti dimostrato che non puoi definirti apatica, men che meno egocentrica.
L'ansia per il futuro è ipertrofica: divora il tuo presente e il tuo futuro, annichilendoli. Ti guardi intorno e vedi solo desolazione; se volti le spalle verso il tuo passato solo macerie hai lasciato dopo il tuo passaggio; ma non è la realtà. Il feroce futuro distorce la tua percezione del reale, rendendoti inetta e imbrattando le tue ambizioni con stupida velleità. Il futuro rimarrà insidioso, la sua aleatorietà è invincibile, inutile illudersi che ci sia davanti a noi qualcosa di certo. Questo non vuol dire che ci stia aspettando solo il fallimento, e se di fallimento si tratta, non è detto che questo possa portare in noi solo disagio e sconforto. Ogni evento deve essere colto nella sua completezza, ogni situazione presenta pro e contro, e in molti casi i vantaggi e gli svantaggi si confondono, divenendo un tutt'uno. In economia si parlerebbe di costo-opportunità. Se ci pensi la valutazione che noi possiamo fare del nostro futuro non è tanto distante dalla valutazione che possiamo fare di noi stessi. Uno dei miei più grandi pregi è una inossidabile forza di volontà, a cui devo molto perché si è rivelata più volte un'ancora di salvezza. Spinta all'eccesso la mia forza diventa debolezza: divento testardo, cocciuto, arrivo alla monotonia, impedendomi di vivere altro. Il pregio si confonde nel difetto. Il futuro è spietato e pieno di opportunità: spetta a noi non eccedere con i giudizi su di esso.
Ti voglio anche rivolgere un rimprovero: hai 25 anni, sei di buona cultura e non hai legami troppo stabili. Credo che non serva aggiungere altro. Ti ripeto solamente che il senso di essere arrivata al capolinea è l'emozione di aver per la prima volta varcato il confine del tuo futuro. Non fare come me: ho buttato due anni di vita, una relazione e forse un futuro con mio figlio. Reagisci prima.
Ex membro
Grazie @alessandro14 , le tue parole mi rincuorano molto. Spero di raggiungere presto la lucidità per vedere le cose per come le vedi tu, e per individuare quali legami mi dividono dalla libertà e dalla felicità, ed eventualmente spezzarli. Al momento sguazzo ancora in un limbo di sentimenti e pensieri in cui tutto è bene e tutto è male allo stesso tempo. Per fortuna, oggi (anche grazie al contributo di questo forum, senz'altro) è stata una giornata molto positiva, per cui tutto è un po' più bene e mi sembra ci siano un po' meno cose da buttare e un po' meno legami da strappare. Vedremo domani, soprattutto considerando che è "il grande giorno". Buonanotte :)
Ex membro
Cara @Marvin, non sono in grado di dare risposta al tuo smarrimento, se non come risonanza. Ho cinque anni più di te, perché al tuo stesso percorso ho malauguratamente aggiunto anche un inutile (se non dannoso) dottorato, ma sono ugualmente senza alcuna prospettiva, proprio come tu ti senti. Non so se c'è egocentrismo nel rimandarsi questa immagine a vicenda: non credo siamo qui davvero per aiutare qualcuno, ma solo per rendere la giornata più sopportabile, proprio come scrivi. Soluzioni concrete, o almeno quanto di più simile, mi auguro tu possa trovarne, invece, durante la terapia.
Una cosa però vorrei dirla, a proposito della tua relazione e delle relazioni in genere per le persone che "stanno male", qualunque cosa voglia dire. Il pregiudizio che circonda il disagio psicologico ed emotivo, nella mia esperienza, ha reso quasi impossibile qualunque rapporto sentimentale. La maggior parte della gente, affidandosi al "senso comune", ritiene che la depressione, l'ansia, il panico siano gestibili e che chi fallisce in questo sia dotato di scarsa volontà, e perciò sia degno di biasimo e varie forme di colpevolizzazione. Chi sta bene non ha pazienza con chi soffre: nel migliore dei casi, lo allontana, con tutto il vissuto di fallimento che questo comporta per l'abbandonato. D'altro canto, anche trovare una persona soggetta agli stessi disturbi non è una risposta vincente, perché il rischio è di farsi vicendevolmente del male, finché uno dei due è costretto a ritirarsi per non alterare l'equilibrio già precario dell'altro o finché non ci si distrugga a vicenda. La mia opinione è che, anche se l'appoggio di qualcuno è fondamentale durante il percorso terapeutico, la cosa migliore sia comunque stare da soli, almeno finché non si esce dal buco nero in cui si è intrappolati, e potrebbe volerci non poco tempo. La libertà nel dolore non è vera libertà, ma non è auspicabile nemmeno una solitudine vissuta in due o la complicità nell'autodistruzione.
Ex membro
Ieri sera sono uscito con amici passando piacevoli momenti. Come sempre mi capita mi sono sentito diverse volte spettatore degli eventi; eppure in un'occasione mi ha fatto piacere essere defilato ad osservare divertirsi persone a cui voglio bene. In quel momento mi sono chiesto se non sia questo il mio ruolo sociale, di essere spettatore degli altri, di avere un punto di vista più defilato. Non metto in dubbio le parole che ho scritto più volte prima: vorrei essere più protagonista della mia vita sociale, perché ho molto da condividere e tante opinioni da voler confrontare con quelle degli altri; ma il mio essere lontano mi porta ad avere visioni della realtà differenti, acquisendo più di quello che sarei in grado di fare nell'esteriorizzare e basta. Dovrei migliorare finché posso alcuni atteggiamenti vigliacchi e rinunciatari, ma anche accettare di buon cuore il mio essere retrospettivo e meditativo, anche quando sono in compagnia di persone. Si tratta di trovare il giusto equilibrio: ne apparire troppo invadente, ne essere troppo amorfo. Per fare questo non devo più avere paura di sbagliare di fronte ad un pubblico: essere meno prudente e più spregiudicato; senza mai perdere il controllo. Raccolgo più degli altri, o almeno mi concedo questa presunzione, ma non posso poi non sfogare tutto questo; anche perché raccolgo? A quale pro? Solo per continuare a stimolare dialoghi interiori, sfiancanti e privi di utilità per la mia vita reale? E se il mio problema non è altro che un eccesso di immaginazione o fantasia che merita di essere espresso? Anche su questo sto lavorando con lo psicoterapeuta, provare ad avvicinarmi a diverse forme espressive, al fine di vedere le mie bizzarrie come opportunità e non come sintomi di malattie mentali, come più volte ho fatto e creduto. Mi viene in mente questo pensando ai vostri commenti @Camille e @Marvin quando dite quanto sia stata inutile la vostra laurea: forse non è stata utile per trovare un lavoro, o forse imputate a questa anche la colpa di non essere stata un ottimo modo di incanalare quello che avete dentro? E se la sterilità è insita nello strumento ma non in voi stesse? Questo significa iniziare tutto da capo, di nuovo, reinventandosi. Reinventandosi, che parola orribile, sinonimo di fallimento: anni buttati. Ma è fallito il mio percorso fino ad ora, non sono io il fallito. Continuo ad interrogarmi, continuo ad avere idee, continuo a scrivere: sono vivo.
Ex membro
ciao, mi sono appena iscritta, e questa e' la mia vita. Soffro di depressione da quando ho 25 anni. Sono molto migliorata negli anni, ed ero abbastanza tranquilla. Adesso, dopo un intervento di isterectomia totale, e la mancanza di estrogeni, sono in tilt toltale. Apatia , stanchezza cronica, depressione e pensieri sempre negativi. Non riesco piu' a dormire bene (io che sono una dormigliona). Mi sono sposata da pochissimi mesi ed ho paura di rovinare tutto con tutti questi casini in testa. Lunedi' tornero', dopo tanto, dallo psichiatra; mi fa rabbia, ma nn posso nn andarci ..... tante volte penso che sarebbe stato meglio nn sposarsi, per nn rovinare la vita anche a mio marito. Come posso fare ????? Vorrei guarire , ma so che e' impossibile.....
lisablu
Buon consigliere
lisablu
Ultima attività il 27/02/23 alle 12:10
Iscritto nel 2015
12 commenti pubblicati | 4 nel gruppo Convivere con la depressione
Ricompense
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Buon consigliere
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Partecipante
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Esploratore
Ciao Alessandro14, ciao a tutti, volevo partecipare alla discussione, anche io soffro di una forma di depressione fin da adolescente, negli ultimi tempi gli specialisti hanno detto che sono bipolare. Anch'io ho avuto 1 intensa vita immaginifica, più che quella reale, e questo perchè la mia vita reale non mi soddisfaceva, ero frustrata, in alcuni momenti: adolescenza, perdita di persone care, tra cui mio padre e qualche amica, delusioni sentimentali, ho avuto proprio un rifiuto della realtà che mi ha portato a sognare un modo diverso, a nutrirmi di ipotesi, "se" "forse", a pensare a variabili del caso. Il gioco forza tra la mia volontà e la volontà dell'Universo Mondo mi sconcerta. Ho cercato di cambiare il mio destino alcune volte, ma sono stati più forti di me e ho perso, combattimento con massimo sforzo e minimo risultato... Metto la buona volontà ma sul + bello inciampo su qualcosa e 1 altro si prende il mio premio. Vorrei sempre cambiare il mio destino ma non so come fare. Ora sto facendo l'arte terapia con sporadiche tecniche di meditazione, ma è 1 calmiere non la soluzione. Leggo il Guerriero della Luce, mi conforta. Ciao
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Lisablu
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Ex membro
Volevo iniziare questa discussione per motivi ovviamente personali. Sto soffrendo di un forte stato confusionale, soprattutto di carattere emotivo. Passo da momenti di cupa malinconia a momenti di forte esaltazione. Sento intorno a me qualcosa aleggiare. Non so se sia depressone o meno, ma questo dolore mi gira sempre intorno, mettendomi ansia. Mi attacca con grande violenza, per poi ritirarsi e darmi l'illusione che tutto possa finalmente essere passato. Mi trovo prigioniero di un eterno ritorno. Inoltre sono affetto da una forte eccitazione nervosa, la quale mi impedisce di fare fronte allo stress emotivo che subiamo tutti i giorni: è sufficiente la reazione smodata di una persona, o smodata per la mia percezione della cosa, per piombare in mille pensieri e lamentele personali. L'incapacità di saper gestire emozioni mi porta all'isolamento. L'isolamento a sua volta mi porta a parlare molto da solo e a fantasticare sulla mia vita molto più di quanto vorrei. Il tempo che perdo in questa attività immaginifica è enorme, impedendomi di poter svolgere le attività reali che ho in mente. La mia è una qualche forma di procrastinazione.
Qualcuno si riconosce in questa descrizione? E se si, come vive tutto questo? Che possibilità ci sono di guarire?
Grazie, anche per chi solo ha avuto il tempo di leggere queste parole.
Alessandro