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La descrizione della mia depressione
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Andare all'ultimo commentoEx membro
Scusate se pubblico un altro commento, in buona parte dissonante dalla discussione ma ne sento l'esigenza. Sono solo poche righe del mio diario, di cui vorrei qualche opinione da parte vostra.
Ieri sono andato al funerale del papà di un mio amico: anche in queste occasioni non si perde la voglia di rivolgersi parole al veleno. Ho molto disgusto per il pettegolezzo, forse anche paura: mi costringe a pensare a chi ho veramente di fronte. La falsità degli altri, la mediocrità del nostro sapere, l'ignoranza sentimentale che riponiamo verso tutto e tutti mi ossessionano: sono anch'io affetto da queste malattie sociali, ma le mie hanno come vittima la mia persona, la mia identità. La mia immaginazione è la falsità con cui stordisco me stesso, illudendomi, e con cui mi isolo, rimanendo solo sintonizzato su me stesso, perdendo empatia per gli altri, ammalandomi di egocentrismo, diventando apatico. Quanta gioia ho nel formulare bei discorsi di fine ragionamento, per poi rivelarsi mere speculazioni, fallaci e prive di un fondamento culturale serio. La mia immaginazione è solo esercizio di presunzione. Mi comporto come gli altri, ma sono autolesionista.
Ex membro
Potrebbe darsi che sia tu stesso il peggior giudice di te stesso Alessandro? Potrebbe essere che tu sia così duro verso te stesso per paura che lo faccia qualcun altro al tuo posto?
Ex membro
Non lo so. In parte le critiche degli altri riesco a sopportarle molto bene, provando per queste molto disinteresse. Certo, non sono prive di conseguenze emotive, ma abbastanza trascurabili. Dall'altra parte riconosco che la severità che rivolgo a me stesso è la stessa con cui mi hanno educato i miei genitori, persone restie al complimento ma facili alla critica. Forse è anche una questione caratteriale: ho molto odio per la presunzione perché vorrei riconoscermi in una persona umile, non riuscendoci sempre: l'isolamento sociale è una forma di presunzione, un'arroganza che ci fa guardare gli altri dall'alto verso il basso. Almeno questa è la mia opinione. Credi che il giudizio che ho di me stesso dipenda dal forte senso di dovere che ho? Un senso del dovere così estremo, un desiderio di fare tante e troppe cose irrefrenabile che mi portano a credere che io sia poco capace.
Giusto l'altro ieri scrivevo sul mio diario alcuni pensieri interconnessi con questo discorso. Stavo guardando la mia libreria. Tutti quei libri stipati, quasi arruffati, mi hanno messo a disagio, forse ho addirittura provato disgusto. Mi sentivo precluso dalla cultura, per sempre impedito nel poter speculare intellettualmente, convinto che tutto quello che avevo letto era inutile perché per me incomprensibile. Questo senso del dovere, che genera in me sogni di perfezione, mi svilisce: come posso stare al passo con mille sogni di gloria e fatica? Dopo due mesi non ho ancora capito quale sia causa del mio problema: all'inizio pensavo all'attività immaginifica, poi alla cattiva gestione dell'emotività, inoltre ad una scarsa fiducia in me, adesso al senso di dovere troppo accentuato. Scovi cause su cause, spiegazioni su spiegazioni, te ne convinci per un po', poi tutto passa, subentra il nuovo. Non ricevere una risposta sicura, certa, è frustrante.
Ex membro
Da quanto leggo è difficile intuire da cosa dipenda la severità che rivolgi a te stesso. Spesso anche la attribuisco all'educazione che mi è stata impartita, ma poi mi fermo a riflettere se in realtà non ci si nasconde dietro ad un dito. Credo che, per quanto possa essere stata dura un'educazione ricevuta, siamo noi stessi a plasmare il nostro carattere. Sono convinta che siamo in parte carta adsorbente, non nego quindi che l'ambiente esterno influisca (positivamente/ negativamente) sul nostro "carattere", ma al contempo non è utile non prendersi ciascuno le proprie responsabilità. In fondo forse nel passaggio tra l'adolescenza e l'età adulta ci discostiamo inconsapevolmente da molti insegnamenti della propria famiglia. Forse ragiono così semplicemente per una "ribellione" ad ogni forma di fatalismo, che in quanto tale, ineluttabile.
Capita talvolta, anche a me di trovare spiegazioni che un giorno calzano a pennello, ma che poi lasciano il tempo che trovano. Tutto cambia e credo che in parte sia questo il motivo. In chimica si parla di"equilibrio dinamico" cioè come tutto ciò che ci circonda non sia statico ma ad ogni variazione si ripristina un nuovo equilibrio simile a quello precedente ed al contempo differente; altrimenti tutto sarebbe come morto. Me ne sono convinta negli anni. Ma sono convinzioni personali, ed in quanto tali, del tutto opinabili.
A differenza tua invece, per me il desiderio di restare soli è sintomatico non tanto di superbia, ma , almeno per me, troppo spesso di "auto-svalutazione"...o forse per metterla come dici tu, una presunzione di essere la peggiore chiavica dell'universo...forse in questo risiede la mia presunzione, non so bene.
Ex membro
La mia severità dipende da tante cose come tu hai ben suggerito @penelope88. Nell'adolescenza non ho vissuto bene il mio aspetto esteriore, seppur ora mi accorgo di essere guardato, anche desiderato. Ho vissuto la mia figura con poca serenità, guardandomi allo specchio e non riconoscendomi. Mi sentivo imperfetto e questo ha creato acredine e quindi severità verso me stesso. Forse non ho ancora superato questo problema, o forse so come superare questo problema, ma la soluzione che ho trovato mi spaventa, imbarazzandomi e bloccandomi. Ho anche difficoltà a relazionarmi con mio figlio e ciò mi fa arrabbiare con me stesso: la stessa difficoltà che ho con gli altri. È che tutto mi sfugge, la rapidità di una conversazione mi confonde, non riuscendo mai a prendere alcune volte il controllo della situazione. Infine vi è l'insieme di tutte le mie ambizioni, ridicolmente numerose.
Equilibrio dinamico: è una teoria interessante e ti ringrazio di averla condivisa. Forse è vero: la percezione che abbiamo del reale è naturalmente mutevole e questo rappresenta la nostra vitalità. Eppure qualcosa di stabile deve pur esserci: un centro di gravità permanente! Queste continue piroette mi confondono e mi stanno snervando. Sono troppo rapide. A me sembra che molte persone non vivano questo continuo cambiamento, rimanendo sempre ancorati a solidi assiomi. Io invece distruggo tutto. Penso che dovrei accettare tutto questo e progettare la mia vita seguendo questa vitalità, ma non vedo molto spazio per uomini e donne di dubbio in questa società e nell'ambiente lavorativo. Che fare?
lisablu
Buon consigliere
lisablu
Ultima attività il 27/02/23 alle 12:10
Iscritto nel 2015
12 commenti pubblicati | 4 nel gruppo Convivere con la depressione
Ricompense
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Buon consigliere
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Partecipante
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Esploratore
Buonasera, mi piace il suggerimento di Alessandro su"scommettere su noi stessi". Bisogna poi vedere come uno ci arriva e dove trova appigli per effettuarlo. Se ci sono tecniche o esercizi in tal senso fate sapere, che non siamo le solite regolette per il successo da pubblicità di trader x es. Trovo interessante anche la dieta dei pensieri, chi ha una sofferenza psichica può incorrere nella'affollamento di voci o di una in particolare( magari una frase detta da qualcuno che ci ha colpiti o feriti)martellante. C'era anche un'altra terapia che avevo letto in un commento ma ora non trovo. Ora è un po' freschino, vado. Alla prox, facciamoci coraggio.
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Lisablu
Ex membro
Ciao Lisablu!
Alessandro forse una sicurezza di cui noi tutti (io per prima) dobbiamo convincerci che purtroppo,o per fortuna, nulla resta sempre uguale. Non fosse altro che la crescita interiore di ciascuno porta a guardare le "cose" in modo diverso qualora restassero sempre allo stesso modo.Sembra una stupida "frase fatta", ma se persino il nostro corpo cambia nel tempo come possiamo non accettare che cambino i nostri sentimenti,le nostre emozioni, stati d'animo e tutto ciò ce ne consegue? Credo che proprio questa dovrebbe essere una certezza ed è assumendola come tale che di conseguenza ci si senta meno alla mercè di questo o quel cambiamento.
E' vero il lavoro è quanto di più labile ci possa essere eppure,anche se non ho una soluzione pratica per questo, credo che un modo deve pur esserci per non cadere vittima di noi stessi. Non sono all'altezza di dispensare "perle" perchè scriverlo qui è fin troppo facile, è metterlo in pratica ogni giorno la parte davvero dura ed io stessa sembro una bambina che sta appena imparando a camminare ed, insicura ad ogni passo, cade e prova a rialzarsi ogni maledetta volta.
Ex membro
La mia riflessione sul lavoro è un po' diversa da ciò che hai scritto tu @penelope88. Mi sembra chiaro che dobbiamo riconoscerci in soggetti mutevoli, che conoscono e vivono il cambiamento, anche il più doloroso. Eppure la nostra società parla di certezze: in politica, in economia e molto quindi nel lavoro. Questo è il punto: chi si permetterebbe mai di assumere una persona di dubbio quando si cercano persone di certezza? Ricordando la maggior parte dei commenti di tutti voi, ho notato che molti hanno studiato a lungo, anche conseguendo il dottorato di ricerca. Sembra che si sia voluto rallentare l'ingresso nel mercato del lavoro a causa della consapevolezza di essere persone diverse, meditative ed empatiche, molto distanti dallo stereotipo del uomo e della donna 2.0: dinamica, multi task, cheap & speed e altre stronzate. Che una delle cause del nostro malessere sociale sia anche questo; ovvero la percezione di essere diversi da ciò che è richiesto? Con una punta di orgoglio penso: meno male che sono diverso da tanta superficialità, dall'arroganza dell'arrivismo e dalla piattezza intellettuale. Dall'altra sono invidioso: una visione della realtà così nitida e chiara, pochi dubbi e molte certezze, mi porta a pensare a quanto sarebbe bello vivere con così grande serenità. Falso ma bello. Dobbiamo forse accettare che siamo la minoranza, a causa dell'annichilimento di molti nostri coetanei. Non siamo più profondi o intelligenti, semplicemente più sensibili. Forse dobbiamo rinunciare alle nostre timidezze, all'umiltà per mostrare ciò che siamo: diversi e orgogliosi di esserlo.
Ex membro
Quello che tu hai scritto è qualcosa su cui purtroppo rifletto da tanti anni. A volte non mi sento orgogliosa di come sono, sebbene come dici tu siamo persone "sensibili". Forse è anche tanto difficile rinunciare alle nostre timidezze...almeno per me. Ho sempre avuto paura..al punto che mio padre pur di farmi uscire dal guscio, quando si passeggiava, quasi mi obbligava ad andare a chiedere ora indicazioni, che ora fosse...e questo è durato almeno fino a quando non mi sono iscritta all'università.
Forse rinunciare alle timidezze è troppo dura.
Ex membro
@penelope88, stavo pensando a ciò che hai detto sul senso di dovere. Credo che questo sentimento dipenda molto da un forte senso etico. Anche in questi ultimi giorni la mia ex compagnia non si è risparmiata nel muovermi critiche e parole al veleno: in tutti questi anni sono stato bersaglio e tutto quello che ho saputo fare è stato auto analizzarmi, cercando in me stesso le ragioni di tanto astio. Questo essere riflessivo, l'attenzione che dedico alle mie responsabilità, il forte senso del dovere dipendono dalla necessità di soddisfare i miei principi etici: non fare del male agli altri, ricordarsi di essere responsabile, criticare prima se stessi e poi gli altri, perché chi è senza peccato scagli la prima pietra. Sono orgoglioso della morale che mi sto costruendo e mi accordo che sono molto rispettoso nell'applicarla, ma forse cado nell'eccesso, imponendomi troppi doveri e compiti, assolvendo così troppo gli altri e colpevolizzando troppo me stesso. Ricordando i commenti di altri utenti, vedo che la necessità di rispettare un'etica, che sia cristiana o auto impartita poco importa, sia fondamentale: sembra quasi che molti di noi siano disposti a fare di tutto pur di non cadere nella contraddizione di adottare comportamenti dissonanti con i propri principi etici; così alcune volte diventiamo vittime di noi stessi. Che ne pensi?
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Ex membro
Volevo iniziare questa discussione per motivi ovviamente personali. Sto soffrendo di un forte stato confusionale, soprattutto di carattere emotivo. Passo da momenti di cupa malinconia a momenti di forte esaltazione. Sento intorno a me qualcosa aleggiare. Non so se sia depressone o meno, ma questo dolore mi gira sempre intorno, mettendomi ansia. Mi attacca con grande violenza, per poi ritirarsi e darmi l'illusione che tutto possa finalmente essere passato. Mi trovo prigioniero di un eterno ritorno. Inoltre sono affetto da una forte eccitazione nervosa, la quale mi impedisce di fare fronte allo stress emotivo che subiamo tutti i giorni: è sufficiente la reazione smodata di una persona, o smodata per la mia percezione della cosa, per piombare in mille pensieri e lamentele personali. L'incapacità di saper gestire emozioni mi porta all'isolamento. L'isolamento a sua volta mi porta a parlare molto da solo e a fantasticare sulla mia vita molto più di quanto vorrei. Il tempo che perdo in questa attività immaginifica è enorme, impedendomi di poter svolgere le attività reali che ho in mente. La mia è una qualche forma di procrastinazione.
Qualcuno si riconosce in questa descrizione? E se si, come vive tutto questo? Che possibilità ci sono di guarire?
Grazie, anche per chi solo ha avuto il tempo di leggere queste parole.
Alessandro