Da un dibattito su Carenity.it si parla di psicosomatica: "Tollerare le cose storte: e siamo finalmente arrivati al punto nodale. Credo che la questione vada affrontata per quella che è.Per es. non si tollerano e allora si è attratti dal "piacere paradossale" della rabbia, ciò vuol dire che essendo di fondo precari - cioè con il sistema del dolore saturo proprio per la fragilità e senso di impotenza - se si vede qualcosa di storto (anzi lo si va a cercare, e inevitabilmente lo si trova)- ci si arrabbia perchè si è profondamnete attratti dal piacere paradossale della rabbia. In sostanza accade che essendo il sistema del dolore saturo un ulteriore dolore - trovando il sistema saturo - si scarica sul sistema antagonista e diventa un "piacere paradossale" perchè è un dolore che si trasforma in piacere istintivo (rabbia, odio vendetta, intolleranza). Piace arrabbiarsi e allora l' apparato cerebrale di emergenza per evitarci questo piacere invia il sintomo cioè il segnale di pericolo nei confronti della rabbia ed ecco - dal nostro punto di vista - la cefalea,la fibromialgia, l'epilessia, la psoriasi, la sclerosi multipla, ecc. che è poi la diagnosi che confonde perchè si dimentica e si trascura il percorso che abbiamo appena annunciato e si pensa di avere una "malattia" .....perchè allora insistere sui sogni? Per aiutare a capire che questo processo che elabora e produce il sogno ci permette di capire questa intolleranza per le cose storte.......di qualsiasi forma siano costituite.......insomma la vita diventa un 'inferno perchè non si trova un attimo di tregua......scusate ma scrivo quello che penso e vorrei tanto aiutarvi ma datemi una mano...partecipate al dibattito....piacereparadossale.blogspot.com
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Credere in dio ti aiuta ad accettare la tua malattia?
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luporosso
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luporosso
Ultima attività il 23/09/17 alle 13:49
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Ero via e non mi sono collegato. Però,come mai nessuno è intervenuto, nel frattempo ? Npn vorrei che l'avessimo messa un pò troppo sul personale,magari spaventando qualcuno che non è interessato a farsi coinvolgere. Eppure,nelle 19 pagine che abbiamo occupato sinora,non erano pochi gli interventi di valore. Comunque...
Devo una risposta ad AlessandroSEAM e non mi sottraggo.
Malattie ? Si. Sono invalido al 75 % (ma è di più),per gravi problemi di deambulazione.Entrambi gli arti inferiori sono colpiti da paraparesi, anche in correlazione ad uno stato penoso della mia spina dorsale. Per dare un'idea:tre anni fa ho fatto una RSM completa (durata un'ora e venti...). Risultato: tre pagine fitte di osservazioni su cose che non vanno,praticamente a tutti i livelli. Sono praticamente non vedente da un occhio. Sul piano psicologico mi porto dietro un pesantissimo errore di valutazione sulla mia vita di lavoro, nella quale avevo prospettive più che ottime, e per la mia presunzione mi sono sentito tanto forte da staccarmi dalle mie sicurezze e da inoltrarmi fuoi dal mio orticello. Poi,un bel giorno (una "bella" notte,per la verità), mi sono reso improvvisamente conto di quello che avevo fatto (ovviamente,niente di male,se non a me stesso, al mio orgoglio e ai miei progetti. Avevo solo buttato alle ortiche la mia carriera) e mi è esplosa dentro una battaglia furibonda con me stesso, che è durata anni, e dalla quale sono uscito da non molto.
Posso dire che in tutto questo non mi sono...perso per strada sia per la presenza della mia famiglia, sia perchè - anche nei momenti di maggiore difficoltà - non ho mai smesso di cercare il perchè: non tanto di quello che stavo,che sto,vivendo (so bene che è comunque piccola cosa,a fronte di quello che accade a tanti altri), quanto del disegno complessivo,nel quale è inscritto anche il mio ruolo. Una ricerca spesso più che banale, ma la cui modestia non mi ha impedito(per fare solo un paio di esempi)di apprezzare la bellezza,in tutte le sua manifestazioni. E non ha frenato la mia curiosità, soprattutto davanti ai misteri dell'infinitamente grande e dell'infinitamente piccolo, davanti ai quali la scienza sta compiendo passi giganteschi e meravigliosi, e mi ha condotto a momenti esperienziali di intensità imprevista e di imprevista...pienezza interiore. E con questo,al bisogno di cercare la Presenza che è la sorgente della bellezza e della tenerezza, e che si nasconde dietro i misteri grandi e piccoli della realtà, e dietro la concatenazione di ciò che accade, dietro alle coincidenze,all'apparente casualità degli eventi.
Andrei avanti così, senza fine. Anche ripetendomi,ma cercando di condividere con qualcuno quello che provo. Ma so che sto diventando noioso e monocorde. E quindi meglio che smetta. Almeno per ora. In attesa della prevedibile ondata di...scuotimenti di testa, di boh ! Di "contento lui..." e magari peggio.
Luporosso
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EUREKA
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EUREKA
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Ultima attività il 29/06/24 alle 01:22
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Mi associo a >>>>>promises "Preferisco la realtà della mia malattia che vivere, comunque malata, nell'illusione" Cè solo una Unica Certezza " La Malattia" Lasciamo che gli altri Preghino dio o il loro dio che sicuramente come per Magia di preghiera li guarirà . e come dire ...prima ti castigo e poi ti guarisco ? Non vale la pena rispondere . Saluti a tutti
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** Noi Siamo e Saremo --->> Quello che Mangiamo ** con le Scelte che Facciamo.
Giovannimario
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Giovannimario
Ultima attività il 08/12/22 alle 19:01
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Ognuno crede in qualcosa,ma il problema è il clero,non mi stà bene il tramite se un tramite si chiamare un prete.
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Giovanni Perrella
luporosso
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Ultima attività il 23/09/17 alle 13:49
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Ben mi sta.Ho stuzzicato, e non mi devo lamentare. Ma rispondere,credo che mi spetti.
A Eureka:chi è che ti vuole togliere la tua malattia? Non certo io,che ne ho abbastanza delle mie.Ma perchè rispondi da arrabbiata? Comunque: contesto che ci sia, come tu dici,un'unica certezza,la malattia. In altri interventi,ho fatto riferimento a situazioni di esperienza, che non sono illusione, ma ben altro. D'altra parte,sempre in altro intervento,ho richiamato la tesi della malattia come castigo divino, NON per dire che così penso anche io, ma solo per indicare che questa è una tesi che in certi ambiti viene avanzata. Io non lo penso affatto, così come non penso alla preghiera come "gettone" da mettere nel juke box che chiamiamo Dio, perchè ci suoni la canzone della guarigione. In ogni caso,la domanda cui cerchiamo di rispondere è: credere in Dio ti aiuta ad accettare, a sopportare meglio, la tua malattia? Io rispondo di SI, e aggiungo che ho provato a ragionare diversamente, e mi sono trovato peggio. Tu puoi dire di aver provato a credere in Dio, ma di NON aver trovato aiuto o beneficio per la sopportazione del tuo male? Inutile specificare,ovviamente: ci hai provato seriamente?
A Giovannimario:cosa c'entra il clero? Cosa c'entrano i preti? Se ti danno fastidio,basta spostarsi di un pò(neanche di molto): supponi di NON essere cristiano"cattolico"(cioè spoggetto a quella Chiesa e a quei preti che ti stanno sullo stomaco), ma cristiano "protestante",di una delle tante confessioni che aborrono,come te, il "papismo". Qui la chiesa e i preti non c'entrano, ma la tua malattia rimane, e rimane anche la domanda: "credere in Dio come protestante,ti aiuta a sopportare meglio la tua malattia" ?
Sempre a Giovannimario: io non sono un prete, non voglio essere l'avvocato della Chiesa Cattolica, e la realtà la vedo anche io.Con tutte le schifezze fatte dai preti:l'altro ieri,ieri e oggi. OK. Ma riesco anche a vedere le immense cose belle e buone e sante fatte nel tempo,da tanti,preti e credenti di ogni specie. Gigantesche incoerenze e infedeltà, certo, ma ancora di più coerenze e sacrifici(fino alla morte,anche oggi). Incroci osceni con il Dio denaro,vero. Ma anche donazioni totali di se stessi,ripetute per un numero enorme di casi. La Chiesa "santa e prostituta" allo stesso tempo? Si,perchè è una struttura di esseri umani,che conservano i propri pregi e i propri difetti anche se hanno la tonaca addosso. Spesso mestieranti,hai ragione,ma spesso martiri. E via dicendo. Ma tu,perchè ce l'hai tanto con loro?
Chiudo,anche se mi piacerebbe continuare.
Luporosso
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AlessandroSEAM
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AlessandroSEAM
Ultima attività il 03/04/22 alle 21:13
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Grazie Luporosso per la risposta. Spero che il ricordare e raccontare gli eventi traumatici della tua vita non ti abbiano infastidito. Per quanto possa sembrare dovuto, mi dispiace della sofferenza che hai provato. Mi auguro che la tua salute fisica e mentale siamo migliorate e che tu abbia saputo trovare il centro di gravità permanente, come lo chiamava Battiato.
Dovrei chiudere il mio intervento qui, senza aggiungere altro, ma sono persona testarda e polemica. Non riesco ad esimermi dal dissentire dal tuo fatalismo: non colgo una unità nella casualità degli eventi. Non escludo che sia un mio limite e rimango consapevole che la tua opinione valga quanto la mia! Ciò che posso invidiarti è la fede che hai messo nel tuo percorso di vita, da cui hai tratto giovamento. Proprio il tuo insegnamento, ben spiegato nella conversazione in corso, mi ha fatto supporre che Dio, qualora dovesse esistere, non è il responsabile del nostro male ma il conforto e l'aiuto su cui fare affidamento per accettare se stessi e la propria storia. Imputare a Dio le responsabilità del caso o dell'uomo è un errore di giudizio: un tentativo di nascondere le proprie responsabilità o di poter sfogare la propria frustrazione contro qualcuno. Lo giudico un comportamento un poco vigliacco.
luporosso
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luporosso
Ultima attività il 23/09/17 alle 13:49
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Ciao a tutti.
Non so se si può, ma mi è capitato di sbirciare su altre discussioni, e sono rimasto sbalordito. Ce n'è qualcuna che si accavalla alla nostra, anche se è notevolmente più avanti di noi nel manifestare con profondità e intensità scenari di pesante,pesantissima sofferenza. In certi casi la sofferenza fisica si incrocia e si rafforza con quella mentale, creando situazioni al limite del sopportabile,e anche oltre.
Davanti a queste situazione,il mio primo impulso è stato di starmene zitto, e magari di sparire senza ulteriori commenti. Come sempre mi capita, la mia presunzione mi aveva fatto ritenere di avere qualcosa di utile e di importante da comunicarvi. Non avevo tenuto conto che la mia, o le mie,sofferenze,sono davvero niente a fronte di quelle di qualcuno di voi. Per questo, chiedo scusa.
Ma,pur con il capo coperto di cenere, il mio personale diavoletto(che poi probabilmente,sono sempre io) mi stuzzica e mi sfida a dire anche questa sera qualcosa. Che non è nè nuovo nè originale, ma che per qualcuno è stata la via per non farsi schiacciare dal male. Ripeto: non la via per la guarigione,bensì la via per ritornare,almeno un pò,padroni di noi stessi.
Voglio dire:la malattia,anche quella che è una condanna a morte (sia pure in un tempo maledettamente più lungo del sopportabile), non può,non ha il diritto, di invaderci e pervaderci nella totalità del nostro essere. Abbiamo le medicine,per quel poco che possono fare;abbiamo i medici,pur con i loro tanti limiti. Ma non abbiamo solo questo. Abbiamo anche noi stessi,la nostra dignità,la nostra intelligenza. Chi crede, sa che tutti gli uomini hanno la loro croce,spesso tremenda. Ma a tutti viene data non la croce che lo schiaccia a terra e non lo fa più rialzare, bensì una croce commisurata alla forza che abbiamo per portarla. La malattia,la sofferenza più aspra,il tormento che non finisce mai, non sono più forti di noi. Possiamo "distillare" nelle tante giornate, e mesi e forse anni, quei momenti in cui ci è dato di respirare,in cui cogliamo qualcosa di bello e di buono. Al di là della muraglia con cui il male ci tiene isolati, c'è ancora il resto del mondo, con così tante cose interessanti;ci sono altre persone; c'è una storia che cammina e alla quale potremmo addirittura anche partecipare,pur nel nostro piccolo.
E scusate,infine,se chiudo con un aspetto di esperienza (vita vissuta,si diceva una volta): in questa battaglia con il nostro male, che è tanto difficile soprattutto quando la combattiamo da soli, è presente una sfida: quella della discussione da cui siamo partiti. Quella di cercare un senso, di cercare di capire il perchè, di individuare il cosa fare e il come fare perchè questa sofferenza non vada...sprecata. E questo ci riporta a cercare quella Causa prima,che sembra illuderci continuamente, che sembra prendersi gioco di noi quando addirittura non si mostra crudele e vendicativa. Possiamo impegnarci in questa ricerca.Una ricerca che è capace di farci alzare gli occhi, di riempire di nuovo, e diversamente,le nostre giornate,di ridare gusto alla lotta. Del resto,come diceva S.Paolo (peraltro antipaticissimo tra gli apostoli,almeno per me), quello che ci viene chiesto non è di vincere,ma di combattere. Di affrontare "la buona battaglia" della nostra vita: ogni giorno,fino alla fine.
Luporosso
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AlessandroSEAM
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AlessandroSEAM
Ultima attività il 03/04/22 alle 21:13
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Non trovo nel perché la ragione per sopportare il mio malessere. Qualsiasi risposta non mi solleverebbe l'umore, continuerei a sentirmi sfibrato e stanco di tutte le sintomatologie e ricadute. Non mi è di conforto comprendere la ragione ultima delle sfide quotidiane messemi davanti dalla malattia. Mi è stato di conforto sapere che io non sono la mia malattia: non sono l'Alessandro che parla da solo per contenere l'ansia, non sono il violento protagonista delle turpi nefandezze che accadono nella mia fantasia. Io non sono malato, ho una malattia, che non mi appartiene, e proprio perché corpo estraneo, sto facendo di tutto per liberarmene. Non sono sordo ai piccoli insegnamenti che la Doc mi ha offerto: vedo anch'io in questa sindrome una opportunità per conoscermi meglio, per temprare il mio spirito; ma i suoi frutti sono amari, pagati a caro prezzo.
La più sfibrante è la consapevolezza di sentire la malattia sempre vicino a me, pronta a sorprendermi nei momenti meno opportuni, ricordandomi quanto io sia sua vittima, preda facile da catturare. Lo sconforto non mi lascia mai, ma provo a reagire ricordandomi che io sono una persona sana, piena di pregi e di valore e che non posso capitolare per qualcosa di immeritato. Reagisco perché non posso farne a meno: voglio vivere con pienezza il mio tempo, riempiendo la memoria di bei ricordi. Ascolto l'istinto, che mi impone di vivere degnamente.
La storia della mia vita è e sarà piena di colpi di scena, situazioni difficili e dolori; ma voglio leggere il libro della mia esistenza fino in fondo. Vedere nella mia vita una narrazione, per quanto sia un esercizio di fantasia, mi spinge ad andare avanti. E mi convince che posso scrivere io alcune pagine del romanzo.
La mia malattia non nasce da una rabbia repressa e men che meno dal piacere masochista di essere rabbioso. Ho disgusto per questo sentimento e non appartiene al mio carattere. Non sono un violento, né un prevaricatore. La mia malattia nasconde sentimenti di inadeguatezza, insicurezza, ansia, ansia e ancora ansia! Mi guardo alle spalle e non vedo niente: sembra che il mio passato sia talmente insignificante da non valere un soldo bucato. Ogni traguardo raggiunto non mi dà soddisfazione, seppure sia riuscito a laurearmi con un voto molto alto mentre lavoravo 50 ore settimanali per mantenere mio figlio. Ogni risultato vale meno di zero. È la rabbia che sminuisce ciò che ho fatto nel corso della mia vita? No. È un profondo senso di inadeguatezza, un desiderio ardente di vivere al massimo, un sognare ad occhi aperti mille vite differenti piene di soddisfazioni. È megalomania ciò che mi rende sprezzante del mio passato e ansioso nel presente. Non voglio sprecare tempo, non voglio perdermi niente della vita. Sono ingordo di emozioni. Sto cercando pazientemente di allentare la foga che mi stritola. Combatto il desiderio sfrenato e disinibito di vita perché è la causa del mio male; un'altra ragione che mi porta a voler reagire. È se sono giunto alla causa del mio malessere lo devo a tante discussioni affrontate in analisi, all'attenta diagnosi e ad una piena comprensione dei sintomi del Disordine Ossessivo Compulsivo.
Ho trovato le cause delle mie afflizioni, ho sviluppato una visione della vita originale e che mi convince, so dove devo migliorare e cosa devo fare per guarire. Tutto questo mi spinge ad affrontare il futuro, tutto questo mi fa state bene: so che cosa devo fare.
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@AlessandroSEAM Grazie del meraviglioso contributo che ci ha dato perchè lei rispecchia quanto ho cercato - con parole più umili - di descrivere. Peccato che poi si perde nella diagnosi e crede che sia quello l'unico modo per descrivere la realtà, possibile che perde il significato del concetto "sintomo segnale di pericolo" nei confronti di un "piacere paradossale"?......Ricapitolando: se è ossessivo compulsivo e il cervello le manda un segnale di pericolo, perchè glielo lo manda? per divertirsi?o per frenare la sua follia?...... Lo scrive proprio lei: "La mia malattia nasconde sentimenti di inadeguatezza, insicurezza, ansia, ansia e ancora ansia!" ma lei sa cosa vuol dire ansia?........
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http://www.frammentiarte.it/2014/02-cura-della-follia/
"Mi auguro che la tua salute fisica e mentale siamo migliorate e che tu abbia saputo trovare il centro di gravità permanente, come lo chiamava Battiato." Noi lo chiamiamo magico religioso......
"La cura della follia" di Bosch
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Hieronymus Bosch
Sull’opera: “La cura della follia” è un dipinto prevalentemente attribuito a Bosch, realizzato con tecnica a olio su tavola nel 1475-80, misura 48 x 35 cm. ed è custodito nel Museo del Prado a Madrid.
In alto ed in basso, la tavola reca le scritte “Meester snyt die Keye ras” e “Myne name is Iubbert das”, che significano: Maestro, cava fuori le pietre (riferite a quelle della follia), il mio nome è “Iubberi das”: Iubberi das, alla lettera, significa ‘bassotto castrato’, cioè un sempliciotto, la tipica persona ingannata).
Potrebbe trattarsi del quadro che si trovava appeso nella sala da pranzo del vescovo di Utrecht, figlio (illegittimo) di Filippo III di Borgogna. Il quadro viene elencato nell’inventario del castello di Duurstede, datato 1524; si pensa allo stesso che nel 1570 fece parte delle sei tavole del Bosch che gli eredi di Guevara vendettero a Filippo II di Spagna (fonte: Justi, 1889 nel catalogo n. 124): Simancas nel suo elenco lo designa come “tela quadrata”, una segnalazione abbastanza fuorviante, per cui è da presupporre che non si tratti dell’opera in esame, come afferma il Tolnay nel 1965. Nell’inventario delle opere pittoriche presenti nel Palazzo Reale di Madrid al momento della morte di Filippo II – avvenuta nel 1598 – il dipinto viene indicato come “rovinato”, ma le misure ad esso abbinate non corrispondono a quelle della tavola del Prado. Il Justi ipotizza trattarsi del dipinto che nel 1794 si trovava nella Quinta del Duque del Arco. Il fatto che quadro fosse in brutte condizioni alla morte del sovrano, può farci pensare che fosse stata eseguita una riproduzione: cosa che non pare verosimile nell’esemplare esposto al Prado, la cui stesura pittorica è di alto pregio e di fattura tardo-quattrocentesca – come afferma il Tolnay – e comunque legata al periodo del Bosch. La maggior parte degli studiosi concordano sull’autografia dell’artista, appartenente al periodo della prima, o forse della seconda giovinezza (1475-80 o 1480-85, circa).
Lo smagliante cromatismo trasmuta in aeree di raffinate eleganze in una concezione paesaggistica del tutto nuova, sconfinata e suggestiva su uno sfondo non proprio tipico nella pittura neerlandese, ma ripetuto in altri lavori giovanili dell’artista. I contorni accentati, tipici di un pittore agli inizi della carriera, sono riscattati da una leggerezza d’impasto ormai del tutto compresa ed accettata, soprattutto nei volti del “folle” e del medico; mentre la monaca, che reca in equilibrio uno sgargiante volume di medicina, pare mediti sull’idiozia e sulle follie dell’uomo, atteggiandosi a “testimone pensieroso”, che solitamente troviamo nella pittura del Bosch.
Nella “Cura della follia” leggiamo una nascente tensione fra lucidità ed enigmaticità, cioè paragoni tra la chiarezza espressiva e più le articolate intenzioni simboliche, come rispecchia l’essenza dell’arte bosciana. L’ “imbuto della sapienza” – messo per derisione sulla testa del medico – i germi floreali dalla cervice del “folle”, il pugnale infilato nella borsa al suo fianco, la ruota di tortura e la forca – visibili sullo sfondo – rappresentano certamente i primi misurati approcci allo stile allusivo, che troveremo sempre più spesso nelle emblematiche opere della maturità, come spontanea espressione delle cognizioni sempre più integrate da innovazioni in fatto di mistica e demonologia, proprie del tardo-medieovo.
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